Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated R - Prose

 

Auteur: Esus

Status: En cours

Série: City Hunter

 

Total: 3 chapitres

Publiée: 06-05-04

Mise à jour: 10-05-04

 

Commentaires: 5 reviews

» Ecrire une review

 

ActionRomance

 

Résumé: Due fratelli chiedono la protezione della coppia di sweeper più famosa del Giappone, che accetta il caso. Cosa succederebbe se, per proteggerli, Kaori fosse costretta ad uccidere?

 

Disclaimer: Disclaimer: City Hunter ©Tsukasa Hojo, Sueisha, Sunrise, Jump Comics, Star Comics e degli aventi diritto.

 

Astuces & Conseils

Je suis inscrite à la liste de validation NC-17, mais je n'arrive pas à me connecter.

 

D'abord, vérifiez que votre browser accepte les cookies (Dans Internet Exporer, allez dans Outils>Options Internet>Confidentialité). Free a changé sa configuration et du coup, maintenant le système de login fonctionne avec des cookies. Si ça ne marche toujours pas, rafraîchissez d'a ...

Pour en lire plus ...

 

 

   Fanfiction :: La quotidianità avvelena l'anima

 

Chapitre 1 :: 16/03/2003

Publiée: 06-05-04 - Mise à jour: 08-05-04

 


Chapitre: 1 2 3


 

Disclaimer: City Hunter ©Tsukasa Hojo, Sueisha, Sunrise, Jump Comics, Star Comics e degli aventi diritto.
 

Miaka e Kitao Akizuchi, come tutti gli altri personaggi nuovi che compariranno durante la storia appartengono a me.  

 

Bene, eccomi qui… questa è la mia prima fanfiction! So che sarete pure stufi di sentirlo dire e non sono qui per invocare clemenza, anzi! E’ che, sebbene abbia già scritto storie originali, ora ho voluto provare a gestire i personaggi che preferisco in assoluto e che amo dal momento in cui il primo volumetto di City Hunter mi è cascato tra le mani. Ho notato che è molto, ma molto più difficile e non so cosa verrà fuori da questa storia. Spero solo di non stravolgere il carattere dei protagonisti per soddisfare il desiderio mio e di tutti i fan di vedere i nostri sweeper felici… speriamo bene!
 

Ok, ora vi lascio… buona lettura!  

 

Tokyo, 16 Marzo 2003  

 

Una scintillante giornata primaverile, come tante altre. Il cielo era terso e di un blu cobalto così intenso da sembrare quasi dipinto dalla mano appassionata di un pittore… sotto di esso, la caotica capitale del Giappone nasceva, moriva e viveva ogni istante, ogni attimo, ogni respiro, con passione e tranquillità. Se si fossero potute osservare le arterie cittadine dall’alto, chiunque sarebbe rimasto affascinato dallo spettacolo offerto dalla moltitudine brulicante che affollava marciapiedi ed incroci, diretta nelle più svariate direzioni.  

 

Tanti volti, tante storie, tanti colori.  

 

Un piccolo e tranquillo parco urbano…
 

Le foglie degli alberi, lievemente mosse dal vento, rimandavano un intenso verde smeraldo sotto il sole del pomeriggio. I primi petali dei fiori punteggiavano l’erba secca a chiazze per le gelate invernali.
 

Un bambino piangeva disperato, il piccolo volto raggrinzito ed arrossato, i pugnetti stretti che strofinavano spasmodicamente gli occhi chiusi. La madre, affettuosa e sollecita, che si affrettava verso di lui e gli puliva il visetto impiastrato dal terriccio impastato alle lacrime, portandolo poi via con sé.  

 

Una scuola di periferia.
 

L’edificio dalle linee pulite e regolari era ancora fremente di vita. Un regolare via vai di studenti ne colmava ancora i corridoi lindi e luminosi.
 

Un ragazzo ed una ragazza si avviavano verso i cancelli, tenendosi per mano: lei, dal volto solare e lunghi capelli color dell’ebano stretti da un piccolo elastico rosa, che camminava un passo avanti a lui, stranamente alto e con corti capelli striati disordinatamente da ciocche bionde. Entrambi con ancora indosso le divise scolastiche, erano diretti ad una caffetteria del centro, con l’intento di passare un pomeriggio tranquillo.  

 

Un alimentari rionale.
 

Le ampie vetrine erano coperte dalla classica patina lattiginosa che permette di vedere dall’interno verso l’esterno e non viceversa. Gli scaffali di plastica ed alluminio, piccoli e disposti in file regolari, erano ricolmi di ogni genere di prodotto e riempivano il locale dal soffitto basso e dominato da colori tenui. Le persone si muovevano lentamente, come se fossero state immerse in un liquido viscoso, facendo vagare pigramente lo sguardo alla ricerca di quanto segnato sulla lista personale degli acquisti. Un’anziana signora, svuotato il suo carrello di acciaio lucido e pagati i propri acquisti, era tornata sotto il sole primaverile.
 

Sospirando, si era avvicinata al ciglio del marciapiede… cercava di attraversare la strada, ma, dopo aver posato la borsa a terra, non le riusciva più di sollevarla. Un’ombra coprì la luce calda: un uomo sulla trentina, con corti capelli neri arruffati e due iridi profonde in cui le emozioni si rincorrevano e si nascondevano in mille anfratti bui, le si era affiancato e, con un sorriso gentile, le aveva sollevato la sporta. Insieme si avviarono attraverso la strada trafficata.  

 

Un bar lungo la stessa via.
 

Piccoli vasi di cemento sabbiato, colmi di gerani scarlatti, facevano capolino dalla base dei serramenti che occupavano larga parte della facciata del locale. Vetri puliti, di una lieve sfumatura azzurrata, tanto lucidi che ci si poteva tranquillamente specchiare… una sobria porta a vetri, con al centro uno stilizzato gatto giallo, permetteva l’ingresso al locale. Era sormontata da un piccolo campanello in ottone che tintinnava allegramente ogni qualvolta un cliente varcasse la soglia.  

Entrando, sembrava di trovarsi in un’altra dimensione, completamente avulsa dal rumoreggiare della vita esterna. Una piacevole tranquillità regnava sovrana, interrotta solo da un parlottare sommesso e dal rumore delle stoviglie riposte meticolosamente al proprio posto da un omone imponente, dal cranio completamente calvo e con indosso un paio di spessi occhiali da sole, totalmente stridenti con la lieve penombra che domina la stanza.
 

Lo sguardo scivola lungo le pareti e con un’unica, sensuale mossa, abbraccia tutto l’insieme dell’ambiente… si respira una forte sensazione di intimità e sicurezza insieme che ti mette definitivamente a tuo agio. Sulla destra, i tavoli in legno di noce lucido sono allineati ordinatamente lungo la parete luminosa e su ciascuno di essi spiccano dei piccoli vasi di ceramica finemente decorata, contenenti delle bacchette di legno chiaro. Piccole tovagliette di cotone bianco sono ammonticchiate su un carrello di acciaio in fondo, insieme a tovaglioli, oliere e tutto il corredo di condimenti necessario per la tavola.  

 

Una giovane donna sedeva, sola, su uno dei tanti sgabelli che stavano davanti al bancone che occupava la parete restante del bar.
 

Corti capelli castano-rossi, carnagione chiara, fisico atletico: una bella ragazza, vestita sobriamente con delicate tinte pastello, che stringeva tra le dita sottili e curate una tazza di ceramica bianca. Senza quasi rendersene conto la stava facendo girare lentamente, osservando con sguardo perso il caffè contenuto in essa, come se fosse la cosa più importante del mondo, e si lasciò sfuggire un sospiro affranto carico di tristezza.
 

In quell’istante la proprietaria del bar comparve dal magazzino sul retro: un lungo grembiule rosa confetto, con stampato il medesimo piccolo gatto giallo rappresentato sulla porta, avvolgeva un corpo asciutto e scattante, mentre i profondi occhi azzurro cielo non perdevano una mossa della sua amica, esprimendo la propria viva preoccupazione. Con un sospiro, posò i piatti che reggeva tra le braccia sul lavello di acciaio lustro, sfiorando la spalla del proprio compagno per indicargli che erano da rigovernare anche quelli, e scrutò gli occhi scuri dell’altra: privi di vitalità, questi seguivano il lento ondeggiare della bevanda scura ormai fredda, colmi delle lacrime a stento represse. Umibozu, questo il nome altisonante dell’uomo in grembiule e tuta mimetica che dominava silenzioso ed incombente il piano di lavoro, annuì e tornò ad immergersi nei suoi muti pensieri.
 

- Kaori, non fare così… ormai dovresti ben sapere che razza di persona sia Ryo…- esordì Miki, scostandosi una ciocca dei lunghi capelli color dell’inchiostro dalla fronte, costringendola dietro ad un orecchio. La giovane sbuffò, spazientita, prendendosi qualche secondo prima di ribattere alla corretta osservazione dell’amica.
 

- Lo so. Ma mi illudo sempre che possa cambiare… e – cambiò inconsciamente argomento - ormai sono mesi che non abbiamo un lavoro decente! E, invece che darsi da fare in qualche modo, se ne va in giro tutta notte a fare chissà che, senza degnarsi di fare neanche uno straccio di telefonata!- sbottò, esternando parte del proprio sconforto. La donna le sorrise, conciliante. Inutile, sapeva che non era ancora pronta ad ammettere apertamente il vero motivo della sua angoscia, nascondendosi dietro alla scusa del lavoro. Quindi, si disposte ad ascoltare pazientemente lo sfogo di quel grande cuore, innamorato della persona più sbagliata dell’universo… Ryo Saeba… angelo e demone di Kaori Makimura. Senza dire una parola le prese la tazza dalle mani, la sciacquò e la riempì di nuovo caffè caldo. L’amica le sorrise ed apprezzò come sempre l’aroma della bevanda, avvicinando il contenitore al volto e sorseggiando tranquillamente il liquido.
 

Miki le sorrise di nuovo, incoraggiante. Ricordava come quelle due strane persone erano entrate nella sua vita… o, meglio, come lei fosse letteralmente piombata nella loro: avrebbe dovuto uccidere Ryo, impresa rivelatasi presto impossibile, per poter conquistare il suo amato Falco che l’aveva lasciata anni prima, quando aveva lasciato l’esercito mercenario. Arrossì, scoccando un’occhiata a quello che ora, in beffa ad ogni previsione, era suo marito, prima di tornare a dedicarsi alla sua migliore amica.
 

- Sperare che Saeba cambi è come portare vasi a Samo!- l’assistente di City Hunter si lasciò scappare una risatina che dissipò parte della tristezza che le segnava il volto - Kaori, dopo sette anni, mi stupisco che tu possa crederci ancora- la ragazza sgranò gli occhi.
 

- Già… sette anni… come vola il tempo, eh?- sospirò nuovamente, appoggiando con desolazione la fronte al piano del bancone.
 

Sette lunghi anni…
 

Da tanto era morto suo fratello Hideyuki.
 

Da altrettanto viveva con Ryo.
 

Anni fantastici, trascorsi in un lampo, in cui aveva vissuto avventure incredibili ed aveva conosciuto persone fantastiche. In cui si era ripromessa miliardi di volte di cambiar vita senza mai farlo veramente, senza nemmeno approfittare dell’occasione unica fornitale da Sayuri che avrebbe voluto portarla con sé a New York come sorella.
 

Il problema era uno solo: lui. O, forse, la sua paura di legarsi veramente a qualcuno. Ad ogni modo, il risultato era lo stesso, ossia un perenne stato di indecisione che la stava consumando e che doveva assolutamente terminare. Peccato che non riuscisse a levarsi dalla mente quegli occhi neri come la notte, quei capelli arruffati, quel profilo deciso e quella particolare espressione assorta che riusciva a cogliere quando lui credeva di non essere visto. Quella sua corazza da buffone ogni tanto lasciava trapelare qualcosa della sua anima… e solo nell’illusione che questa potesse un giorno mostrarsi in tutta la sua abbacinante bellezza gli stava accanto. Oltre che per lo stretto groviglio di sentimenti che, incrociando il suo sguardo o sentendo la sua voce bassa e carica di melodie inascoltate, le si agitava nel mezzo del petto.
 

- Beh, a questo punto lui ti direbbe…- un forte tintinnare metallico interruppe la frase a metà. Solo una persona apriva con tanta foga la porta del Cat’s eye e Kaori aveva riconosciuto immediatamente il proprio socio… le bastava sentire anche solo il lieve soffio del suo respiro, per capire che era lì accanto a lei. E, nel caso fossero servite ulteriori conferme, eccolo lì al suo posto preferito, in un frusciare di stoffa verde petrolio, che stringeva con veemenza le mani della barista, gli occhi brillanti ed un’espressione rapita stampata sul volto.
 

- Mio dolce raggio di sole! Vieni via con me e abbandona quella razza di polipo che ti sei dovuta prendere come marito… conosco un alberghetto adatto alla tua bellezza!- un brillante vassoio di acciaio gli venne scagliato con forza contro il volto da Miki, mentre un enorme martello di 30 tonnellate gli si abbatté sulla testa, con Kaori saldamente aggrappata all’impugnatura di legno.  

- Devi smetterla di importunare Miki, tanto più che ora è felicemente sposata! Sempre il solito maiale!- sbraitò, scaricando la sua furia come un’ondata di piena. Ryo si accasciò privo di forze al suolo, chiedendosi che avesse combinato per meritare tanta cattiveria. Ma non ottenne la sua risposta: la sua assistente, dopo avergli scoccato un’ulteriore occhiata fulminante, si allontanò a passo di marcia e lasciò il locale, tra lo stupore di tutti.
 

- Miki, ma che ho fatto stavolta?- mugolò l’uomo, strisciando sul suo sgabello preferito, mentre l’interpellata lo fulminava con lo sguardo per poi decidersi ad ignorarlo completamente.  

 

- Non cambierà mai, maledizione!- l’espressione furente di Kaori terrorizzava letteralmente i passanti: i suoi lineamenti gradevoli erano distorti in una smorfia di rabbia tale da renderla irriconoscibile. Avanzava a lunghi passi nei larghi viali di Shinjuku, le mani sprofondate nelle tasche del corto spolverino color pesca, la testa china a fissare le punte dei piedi avvolti in comode scarpe di tela bianca. Camminava come se fosse animata da una fretta senza precedenti e, senza guardarsi intorno, continuava a rimuginare i suoi tetri pensieri.
 

Anche quel mese erano sull’orlo del fallimento: nessun nuovo incarico, tante bollette da pagare… e a Ryo la cosa sembrava non importasse minimamente. Continuava a folleggiare tutte le notti, ad ubriacarsi fino a perdere la cognizione di se stesso, a correre dietro ad ogni sottana…
 

La sua espressione si incupì maggiormente… già, qualsiasi donna agli occhi di quel depravato, valeva più di lei, era un dato di fatto. E questo le faceva una tale rabbia… non credeva di essere poi così tanto brutta! Certo, paragonata a Saeko o a Reika, non è che facesse chissà che figura, ma da lì a darle del mezzo uomo ne passava di acqua!
 

E, in tutto il tempo trascorso insieme, niente sembrava essere cambiato… anzi, no: c’era stata un’involuzione. All’inizio anche lei riusciva a sortire un qualche effetto su quel depravato, ma col passare del tempo tutto era svanito come una bolla di sapone.
 

Che poi, come se non bastasse, il comportamento del suo partner non è che fosse un esempio di coerenza. Un momento era gentile e premuroso, il momento dopo scostante e gelido. Certo, sapeva benissimo quale era il dilemma che si agitava in fondo alla sua anima, gliel’aveva rivelato lui stesso in cima a quel palazzo semi-distrutto, quando lei, in preda allo sconforto, aveva affrontato Mick Angel per difenderlo.
 

Ricordava, come se ci si fosse trovata in quell’istante, quella notte gelida e silenziosa: la sfida che lei aveva reclamato era sicuramente ad armi impari… ma aveva deciso di giocare il tutto per tutto, così da chiudere con il suo socio senza rimpianti, magari dissipando quella confusione che avvertiva dilaniarle l’animo. Ricordava l’andamento della lotta, l’arrivo di Ryo, la sua espressione minacciosa e la rabbia che la sua persona emanava come fosse qualcosa di fisicamente consistente. Furore cieco che non riusciva a comprendere… non era da lui sbilanciarsi in quella maniera.
 

E poi… il suo volto… i suoi occhi, tristi e colmi di affetto, rivolti apertamente a lei. E la piccola colt del suo caro fratello che si perdeva nell’immensità delle sue mani segnate dalle lotte, ma tanto calde e gentili.
 

Una scelta… e lei aveva stretto le sue dita intorno al freddo metallo, mentre il cuore credeva potesse esploderle per la felicità.
 

Era stata una delle rare volte in cui Ryo aveva fatto trapelare coscientemente l’affetto che sentiva per la piccola ragazza che il suo migliore amico le aveva affidato.
 

Arrossì violentemente al ricordo e incassò la testa tra le spalle.
 

Sapeva che ci teneva a lei e questo le faceva piacere. Ma ormai non le bastava poi molto.  

 

Si fermò, sollevando la testa, stupita. Senza volerlo, era arrivata alla stazione. Guardò le persone che le si muovevano intorno, prese nella propria vita, ignare del suo crescente malessere.
 

- Ma si, controlliamo, non si sa mai- si disse, a mo’ di incoraggiamento. Con un sospirò, varcò l’ingresso vetrato dell’edificio e si avviò verso il tabellone dei messaggi, muovendosi abilmente tra il flusso intenso di persone dirette verso le direzioni più disparate.
 

La lavagna di grafite verdastra era, come sempre, fittamente coperta dei più svariati messaggi e comunicazioni. Difficile trovare un filo logico in quel groviglio di vite che si intrecciava su quel pannello di pietra liscia… ma, il suo sguardo allenato evitò di farsi coinvolgere in quei frammenti di quotidianità ed iniziò a vagare agevolmente tra gli ideogrammi pasticciati col gesso bianco, fino a trovare quanto desiderato: XYZ.
 

Il cuore le saltò un battito e le ci volle qualche minuto prima di realizzare quanto stava effettivamente accadendo: finalmente un nuovo incarico! Sentì gli occhi diventare lucidi, colmi di lacrime di felicità e di sollievo. Avrebbero chiuso per un po’ con il cibo istantaneo nei bicchieri di carta! Non avrebbe dovuto chiamare le aziende di luce e gas, implorando l’ennesima deroga sul pagamento! Mentre realizzava la potenza di questa notizia, iniziò a frugare freneticamente nelle tasche, alla ricerca della piccola agendina che portava sempre con sé. Finalmente le sue dita strinsero il cuoio bordeaux della copertina e fece scorrere la lunga lista di pagine bianche, prima di fermarsi alla data della giornata: cerchiò con allegria il 16 che campeggiava sull’alto del foglio e si decise a leggere il resto della richiesta. La matita si fermò a mezz’aria, incerta: la scrittura, maledizione, era tipicamente femminile e lei non si sentiva nello stato d’animo adatto per reggere Ryo e le sue avances libidinose a carico dell’ennesima bellissima cliente.
 

Sospirò, affranta e dubbiosa… ma, proprio in quel momento, il suo stomaco brontolò rumorosamente ricordandole gli stenti che stava passando. La scelta, pertanto, fu presa istantaneamente: copiò il numero di telefono, cancellò il messaggio dalla lavagna e si diresse verso le cabine telefoniche appese alla parete per prendere accordi sull’incarico.

 

 

Era tornata al Cat’s Eye. Gli occhi di Miki si fermarono sorpresi su di lei mentre varcava tranquillamente la soglia, ma lei le regalò un caldo sorriso, prima di posare lo sguardo sull’ampia schiena del suo collega, stretta nello spolverino verde petrolio, usurato dagli anni e dalle avventure, che spuntava da uno dei divanetti. Il cuore le si strinse dolorosamente, ma non si permise di desistere dal suo proposito, preso nel mezzo dell’affollata stazione della metropolitana, subito dopo che aveva agganciato la piccola cornetta di plastica del telefono pubblico.
 

Si sedette di fronte al giovane uomo, reclamandone vivacemente l’attenzione.
 

- Un lavoro?- gli occhi di Ryo la squadrarono, da sopra il giornale e lei ne approfittò per portarsi la tazza di ceramica alle labbra e godersi un sorso di caldo e aromatico caffé.
 

- Esattamente. Ho già preso accordi con il nostro nuovo cliente che arriverà qui tra poco: l’incarico mi sembra semplice e ben retribuito, quindi si tratterebbe si definire gli ultimi dettagli- lo sweeper sbuffò.
 

- Non ho la minima intenzione di lavorare per un uomo. Io sono lo Stallone di Shinjuku, ho una reputazione da difendere!- sbottò, senza coglierla di sorpresa. Kaori sorrise, sentendo la tristezza allargarsi a macchia d’olio, invadendo ogni piega del suo animo provato.
 

- Ma io non ho mai detto che si trattava di un uomo- fu il suo solo commento. Avvertì chiaramente il sospetto e la sorpresa del suo partner, ma lo ignorò ed, anzi, prese a guardare attraverso la vetrina lustra, in attesa di Miaka Akizuchi.  

 

Lo sweeper osservò la ragazza che, con le mani strette intorno alla tazza, sembrava completamente persa nell’ammirare il paesaggio cittadino. I suoi occhi seguirono il suo profilo delicato, accarezzando la pelle soffice del collo e scaldandosi con i riflessi fiammeggianti dei corti capelli che le sfioravano a malapena le spalle. Era stupito dalla tranquillità con cui gli aveva annunciato che avrebbe lavorato per una donna: era oramai abituato ai suoi imprevedibili sbalzi d’umore ed alla sua violenta gelosia. Come era anche avvezzo ai rari momenti in cui lei cercava di fare l’indifferente e di cancellarlo dal suo cuore. Ma, stavolta, nella sua voce, non vi era né amarezza, né aggressività: era tranquilla ed a suo agio.
 

Dove stava il trucco?
 

Il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore quando nella mente gli si stampò l’ovvia verità… la cliente doveva essere una specie di virago! Non esistevano altre spiegazioni! Come minimo era brutta, piccola e cicciona, del genere “faccio prima a saltarla che a girarle intorno”. Mentre era immerso nei suoi maniacali pensieri, facilmente intuibili dalla sua multiforme mimica facciale, un delicato profumo di violetta gli colpì le nari, attirando la sua attenzione. Proprio in quel momento Kaori si alzò con un freddo e formale sorriso stampato in volto ed abbozzò un inchino nei confronti di quella che doveva essere, presumibilmente, la nuova cliente. Bene, il mistero sarebbe stato presto svelato e lui avrebbe rifiutato su due piedi l’incarico! Incrociò le braccia con aria decisa e guardò fisso davanti a sé, temendo il peggio.
 

- Salve, prego si accomodi- la sua partner si spostò, rivelando la figura che fino ad un attimo prima celava con il suo corpo: comparve una ragazza minuta, dai tratti delicati come se fossero stati modellati con la porcellana e dai lunghi capelli castani, che appoggiava alternativamente il peso da un piede all’altro, incerta sul da farsi. Gli scoccò un’occhiata nervosa, con cui mise in mostra due incredibili occhi neri come la notte, rischiarati da improbabili quanto unici riflessi rossastri che li animavano non appena venivano feriti dalla luce. Il cuore dell’uomo sobbalzò nel petto, nello scontrarsi con quelle iridi magnetiche e, senza alcun pensiero coerente nella testa, scattò verso la preda.
 

- Accetto, accetto, accetto! – urlò con voce in crescendo, mentre le sue dita, dopo aver affettato l’aria che lo separavano dalla fanciulla centro delle sue attenzioni, si depositavano con foga sulle sue spalle – Qualunque cosa sia, nessun problema… per il pagamento, potremmo risolvere per un ritorno in nat…- l’oscenità morì sul nascere: una glaciale Kaori sfoderò un martellone di acciaio di 12 tonnellate, con cui schiantò al suolo il socio.
 

- Prima di accettare, aspetta almeno che te la presenti, maniaco pervertito!- sibilò, prima di dedicare la propria attenzione alla futura cliente. Ryo scoccò un’occhiata molto perplessa alla propria socia: non era il suo solito tono, il che era strano. Non gli aveva intimato di stare lontano dalla cliente, bensì di aspettare… il suo volto si illuminò di felicità: che avesse finalmente capito che avrebbe dovuto stare fuori dalla sua vita privata? Galleggiando nel suo brodo di giuggiole, si sedette nuovamente al tavolo, piegò il giornale e sfoderò la sua aria più professionale, nell’intento di rimediare alla brutta figura di poco prima.
 

Ma non era il solo ad aver notato la stranezza del comportamento della donna: anche Miki, che aveva osservato la scena con aria di sufficienza da dietro al bancone, era rimasta con la matita appoggiata al block notes su cui annotava la lista dei danni al locale che la coppia avrebbe dovuto risarcirle, completamente stupita. Osservò attentamente l’amica, chiedendosi che le passasse per la testa e si ripromise di tenerla d’occhio per evitare che facesse uno dei suoi soliti colpi di testa. Falcon, alle sue spalle, le borbottò di farsi i fatti propri, intuendo i suoi pensieri, ma non osò spingersi più in là: anche lui era rimasto abbastanza sconcertato da quanto stava accadendo nel loro locale quel giorno. Proprio in quel momento il campanello della porta tintinnò e la faccenda fu archiviata, assorbita dall’arrivo di una coppia di studenti.  

 

- Ryo, questa è la signorina Miaka Akizuchi- la ragazza fece di tutto per non farsi distrarre dall’espressione estremamente eccitata del proprio collega e proseguire nella sua sommaria spiegazione - Lavora come ricercatrice alla facoltà di biologia e da un anno stanno approfondendo degli studi sulle proteine, per ampliare il database di codifica delle possibili sequenze degli amminoacidi. Ma, durante gli esperimenti, dai campioni messi in cultura con un gel ideato da loro, sono stati ottenuti degli strani risultati: le catene proteiche si sono modificate radicalmente, assemblandosi in maniera nuova. Hanno provato, a quel punto, a verificare l’efficacia del gel su un campione di tessuto umano, notando come tale preparato modificasse la sequenza genetica, con effetti inaspettati- lo sweeper non lo ascoltava minimamente. E, come se non bastasse, la povera dottoressa era talmente occupata dalle avances neanche troppo velate che stava ricevendo, che sembrava dimentica di essere venuta lì perché in pericolo di vita… anzi, pareva sul punto di darsi alla fuga e non poteva certo permetterglielo!
 

- Maledizione, dammi retta un secondo! Poi puoi fare quello che vuoi, ma almeno ascolta quello che devi fare!- sbraitò. Ryo finalmente le dedicò parte della propria attenzione: si massaggiò con una mano l’orecchio offeso dalle urla della compagna e la osservò con aria oltremodo annoiata.
 

- Guarda che non mi interessa niente… ho già detto che accetto no?- la sweeper iniziò a fumare per la rabbia, a stento repressa e si guadagnò un’occhiata di riconoscimento da parte di tutti; ma, così com’era apparsa, la rabbia sfumò. Il tempo ricominciò a scorrere normalmente, dopo che sembrava fosse stato messo in pausa in attesa dell’esplosione.
 

- Lo so, ma pensavo che per lo meno era il caso di avvertirti che Miaka non è l’unica persona che dobbiamo proteggere… anche suo fratello gemello Kitao appartiene al suo team di ricerca ed è stato lui a ricevere in prima persona le minacce da parte dei signori della guerra dell’Oman- proseguì, quindi, Kaori, come se niente fosse. Il gelo serpeggiò tra i piccoli tavoli del caffé, talmente consistente che la coppia che era entrata da poco si diede letteralmente alla fuga. Miki e Umibozu avevano la bocca semiaperta per lo stupore e Saeba era rimasto talmente ammutolito che non pensò neanche di protestare per il fatto che avrebbe dovuto proteggere un uomo. L’unica che sembrava non essersi accorta di nulla era la nuova cliente che, vista accettata la sua offerta senza alcun tipo di riserva, si voltò verso la donna per accordarsi sulla ricompensa che avrebbe dovuto corrispondere per il servizi chiesti.  

 

Raggiunsero la piccola Mini rossa e si accomodarono sui sedili. Nessuno diceva una singola parola e la povera Miaka, che aveva in tutti i modi cercato di instaurare una conversazione civile, alla fine si era ridotta a sua volta al silenzio. Non riusciva a capire se le persone che le erano state presentate come estremamente affidabili meritassero tanta fiducia: due soci che neanche si guardavano in faccia non rappresentavano l’immagine ideale di coppia affiatata. Però, l’ispettore Nogami si era mostrata estremamente sicura sul conto dei due sweeper e lei aveva grande considerazione della sua opinione. Ora, era da vedere se i problemi personali che quegli strani tizi avevano – perché non si trattava di altro, era lampante – si fossero risolti in fretta, o, in ogni caso, se si fossero assestati sufficientemente per permettergli di fare un buon lavoro. E poi, era preoccupata per suo fratello… non era quello che si definiva un tipo tranquillo… per alcuni aspetti assomigliava pure troppo a Saeba e questo preannunciava solo guai. Sospirò, affranta.
 

- Tutto bene?- Kaori di voltò verso di lei, regalandole un dolce sorriso in cui aleggiava sincera apprensione. Quella ragazza era molto dolce… si stupì di come potesse fare un lavoro come quello: sembrava totalmente estranea a quell’ambiente, a differenza del suo socio, il cui sguardo, per quanto scanzonato, era intriso di sofferenze provate e causate.
 

- Sì, sì, tutto bene. Solo, sono preoccupata per Kitao: ormai nel laboratorio non ci sarà più nessuno e non vorrei che gli succedesse qualcosa… la sorveglianza è oltremodo disattenta, soprattutto quando si avvicina l’orario di chiusura- la giovane annuì.
 

- Tranquilla. Tra poco saremo alla facoltà e scenderemo insieme per andarlo a prendere. Tu, Ryo, aspetta in macchina, che ho fretta di andare a casa e non posso passare metà serata a correrti dietro per i corridoi dell’università- l’uomo annuì, mantenendo la propria espressione assente, mentre sentiva aumentare dentro di sé lo sconcerto: che le era mai preso? Non era la solita Kaori, era strana! Talmente fuori dalla norma, che non riusciva neanche a ribatterle.  

 

La piccola auto si arrestò si fronte ad un basso muro in cemento grigio: la superficie polverosa e venata da piccole fessure lasciava intravedere una piccola porzione del monumentale edificio alle sue spalle.
 

Le due donne lasciarono l’auto e attraversarono l’ampio cancello spalancato che immetteva direttamente su un viale alberato, lastricato in porfido color ruggine. Sullo sfondo si ergeva l’università: la costruzione in mattoni rossi a vista sembrava aleggiare sul curato parco verde smeraldo circostante. Numerose finestre incorniciate da un semplice decoro in granito bianco ne intagliavano la facciata, alcune che già lasciavano trapelare la luce interna ed altre no. Camminarono per alcuni minuti in silenzio: Kaori osservava i dintorni con aria guardinga, preoccupata da ogni singolo rumore provenisse dal parco, mentre la sua protetta la seguiva a qualche passo di distanza, incerta sul da farsi.
 

- Signorina Makimura…- esordì Miaka, ma la giovane la interruppe, con un sorriso incoraggiante.
 

- Chiamami solo Kaori, è più che sufficiente- la ragazza ricambiò il sorriso, mentre la sua mente annaspava in cerca delle parole migliori per spiegare alla sweeper che tipo di persona stava per incontrare.
 

- Ok, come vuoi. Volevo solo metterti in guardia da mio fratello… come dire… è un tipo molto espansivo- si, che simpatico eufemismo!, si rimproverò mentalmente, notando l’espressione confusa comparsa sul volto della propria interlocutrice.
 

- Non credo sia un problema: hai visto com’è Ryo, no? Dubito esista di peggio- fu il commento secco dell’assistente di City Hunter, mentre si scostava per permetterle di varcare la pesante porta a vetri dell’ingresso.
 

I corridoi luminosi si estendevano quasi fossero infiniti, intrecciandosi in un dedalo sicuramente inestricabile per chiunque non frequentasse abitualmente il fabbricato: Miaka si diresse con sicurezza verso destra ed imboccò una scala abbastanza defilata che scendeva verso il piano seminterrato.
 

- I laboratori sono stati posti nel sottosuolo: spero che la porta esterna sia ancora aperta o dovremo telefonare per farci aprire. Ogni settimana cambiano il codice di accesso ed io ho la strana tendenza a scordarmelo- spiegò con una risata imbarazzata, mentre avanzavano tranquille verso una pesante porta tagliafuoco, all’apparenza sigillata. Con notevole difficoltà Kaori la spalancò, meravigliandosi non poco del peso dell’infisso, ma si interruppe nell’avvertire uno strano scricchiolio: il suono di una suola di gomma sul pavimento lucido era sicuramente inconfondibile e ciò significava solo che qualcun altro stesse vagando nei corridoi circostanti. Fece sparire la protetta in uno laboratorio deserto, intimandole di stare nascosta e si guardò in giro: possibile che Ryo le avesse seguite?  

Scosse la testa: no, soprattutto, non dopo come l’aveva trattato fino a qualche minuto prima. Infilò una mano sotto la giacca e strinse le dita intorno al calcio della propria pistola, avanzando rasente al muro così da non avere un lato scoperto e vulnerabile. La struttura, ora, era immersa nel silenzio più completo: deglutendo a fatica, continuò a muoversi lentamente, ignorando di essere tenuta sotto controllo da un paio di occhi neri come la notte. Ryo sorrise: era stato veramente lui a fare quel piccolo rumore ed il fatto che la propria socia se ne fosse accorta era degno di nota. Anche lui stringeva la propria Python, pronto ad intervenire in caso di necessità: osservò la sorella del suo migliore amico proseguire nel corridoio in penombra, chiedendosi che mai le stesse passando per la testa. Era stata strana tutto il giorno e non se ne spiegava il motivo. Silenzioso come un gatto, scese i pochi scalini che ancora lo dividevano dal piano del passaggio: un rumore tintinnante di chiavi metalliche ed un fischiettare sommesso ferirono il silenzio e lui fu pronto all’attacco.
 

Anche Kaori aveva sentito quel rumore e diventò ancora più cauta: le sue mani si imperlarono di sudore freddo, costringendola ad impugnare con più decisione la propria arma, mentre si avvicinava allo spigolo di un pilastro. Un’ombra lunga attraversava il pavimento lindo del corridoio e alcuni tratti della sagoma erano inconfondibili: chiunque fosse, portava una pistola appesa in vita e stringeva un enorme mazzo di chiavi nella mano destra. Con uno scatto fulmineo fu in mezzo al corridoio, con la Colt 357 puntata e determinata a far fuoco se fosse stato necessario: il suo partner, spiazzato da quella mossa tanto sconsiderata, fu tuttavia rapido a porsi in traiettoria di tiro e soffocò a stento una risata nel vedere la scena. Una povera guardia giurata, bianca come un cadavere, stava nel mezzo del passaggio, una mano alzata come debole ed inutile protezione verso la sua persona.
 

- F-ferma… che sta facendo?- la voce profonda dell’uomo vibrava per lo sgomento e la paura. Kaori si rilassò ed abbassò l’arma, dandosi mentalmente della stupida. Per fortuna che Ryo non l’aveva vista, o l’avrebbe presa in giro per una settimana abbondante.
 

- Scusi, credevo non ci fosse in giro nessuno… sono qui con la mia amica che, dopo essere stata minacciata, si spaventa per niente: abbiamo sentito un rumore sospetto di passi e sono venuta a controllare. Evidentemente si è dimenticata di dirmi che l’istituto aveva previsto anche un servizio di ronda notturno- il vigilante recuperò la calma e la aggredì, mentre la donna si sentiva sempre più in imbarazzo.
 

- Il servizio è stato istituito proprio a causa dei recenti avvenimenti, così da evitare che i ricercatori si sentissero in pericolo… e di certo un’estranea che va in giro a puntare una pistola giocattolo alle ombre non è un fattore di sicurezza! Certe cose le lasci ai professionisti… avrebbe potuto fare del male a se stessa e agli altri!- lo sguardo della giovane si incupì… già, lei non era una professionista: anche un perfetto estraneo aveva colto l’evidenza. Abbozzò un inchino, scusandosi nuovamente, e tornò da Miaka, mentre un pesante macigno le pressava il cuore, già messo a dura prova dalle emozioni della giornata. La guardia si allontanò nella direzione opposta e Ryo ripose la propria arma, mentre osservava la figura della socia allontanarsi: si era comportata bene, checché ne dicesse quell’imbecille impomatato, e avrebbe dovuto esserne cosciente. Eppure, ogni suo gesto segnalava desolazione e la cosa gli piaceva sempre meno. Il suo sguardo si incupì ma se ne andò senza dire nulla, silenzioso com’era arrivato.  

 

- Puoi uscire, è tutto a posto!- la voce bassa di Kaori rassicurò la giovane nascosta sotto ad una delle tante scrivanie in formica lucida e la costrinse ad uscire. Si alzò in piedi, facendo leva sulla sedia che si era tirata vicino e si affiancò alla sweeper. Ma, anche nella penombra del locale, non poté non notare l’espressione affranta della giovane e si chiese che fosse mai successo. Aprì la bocca, per sincerarsi di ciò, ma la sua domanda rimase inespressa: la ragazza le aveva già voltato le spalle e stava avanzando nel corridoio.
 

- Comunque, non c’era niente di cui preoccuparsi: non sapevi che l’università ha assunto anche delle guardie notturne?- la informò Kaori, dopo qualche minuto di assoluto silenzio. La ricercatrice restò ancora più ammutolita: improvvisamente ricordò che Kitao le aveva accennato qualcosa, ma come sempre lei aveva la testa immersa nel lavoro e non ci aveva prestato attenzione. Ma non era quello che l’aveva ammutolita, bensì il tono rassegnato e assolutamente privo di emozioni della sweeper. La caratteristica che l’aveva colpita e spinta a fidarsi era proprio la trasparenza di quella ragazza: ogni suo gesto esprimeva vivamente quanto sentiva dentro, sia nel bene che nel male. E quel brusco cambiamento l’aveva lasciata spiazzata.
 

- Scusami, dev’essermi proprio passato di mente…- Kaori si voltò e le regalò un sorriso conciliante.
 

- Tranquilla, non è colpa tua. Sono io che mi sarei dovuta informare meglio! Dai, portami da tuo fratello ora, che Ryo starà sicuramente scalpitando in macchina- la giovane dottoressa si voltò indietro, domandandosi se fosse vero che il compagno della sua neo guardia del corpo stesse veramente fuori ad aspettare buono buono: aveva avuto ben altra impressione riguardo al suo modo di fare durante il loro breve incontro. Sorrise silenziosamente e si affrettò a raggiungere la ragazza.  

 

Si fermarono di fronte ad una porta a vetri da cui si intravedevano lunghi tavoli ricolmi di vetrerie: il mobilio occupava gran parte della superficie della stanza, impedendo quasi completamente la visuale. La pesante porta automatica si aprì con un sibilo, permettendo alle ragazze l’ingresso: il ronzio sordo della cappa aspiratrice dei fumi sembrava impregnare totalmente l’aria del laboratorio, altrimenti immerso in un silenzio tombale. Improvvisamente un penetrante odore di acido solfidrico si diffuse, sferzando le nari sensibili della giovane sweeper: represse a stento una smorfia di disgusto nel riconoscere il pungente olezzo di uova avariate, mentre la dottoressa, probabilmente abituata a ben peggio, avanzò sicura rasente ai ripiani rivestiti di piastrelle lucide.
 

Sembrava proprio che la stanza fosse deserta… Miaka proseguiva tranquilla e Kaori si rilassò impercettibilmente, osando soffermare un po’ lo sguardo nei vari punti del locale, colmo di stranezze: macchinari del genere li aveva visti solo nel fornito laboratorio del Professore, ma era la prima volta che li osservava con attenzione.
 

Finalmente avevano percorso quasi tutto il passaggio e si sentì provenire un debole tintinnare di vetro da un angolo un po’ defilato: attraverso gli scaffali coperti di boccette e di attrezzi vari si intravedeva una figura avvolta in un camice bianco saltellare da una parte all’altra, con una pipetta in una mano e un contenitore graduato nell’altra.
 

- Ciao fratellone, siano venute a prenderti!- esclamò Miaka, con voce allegra e vagamente sorpresa: si era stupita della concentrazione del fratello nel suo lavoro, gli era molto inusuale. A meno che dipendesse dal fatto che era lì solo e non avesse nessuna ragazza da importunare… e, con quel pensiero, si ricordò di Kaori alle sue spalle. E sperò ardentemente che Kitao si controllasse.  

Intanto, nel sentirsi chiamare, il giovane si fermò di colpo e si voltò nella loro direzione con un’espressione stupita sul volto: alla sweeper si mozzò il fiato nel vedere il volto del fratello di Miaka. Alto e prestante, il volto abbronzato e dai decisi tratti mascolini in cui erano incastonati due penetranti occhi neri come la brace, il tutto circondato da arruffati capelli che sembravano aver sottratto il colore alle notte più nere. I loro sguardi si incrociarono e Kaori avvertì un brivido inconsueto scivolarle lungo la schiena che la fece rabbrividire impercettibilmente: gli occhi ipnotici del ricercatore indugiarono volutamente nel loro esame, consapevoli dell’effetto che facevano sulla ragazza e, lentamente, risalirono dai piedi fino alla testa, fermandosi, poi, insistentemente, nei suoi occhi.
 

- Kitao, questa è Kaori Makimura, una delle guardie del corpo che ho assunto oggi. Ricordi che te ne avevo parlato?- la ragazza avvertì una fitta allo stomaco nell’avvertire quella vaga scintilla di eccitazione nell’aria ed attese paziente l’attacco del fratello… che non ci fu, lasciandola completamente spiazzata. Invece che saltarle addosso, si limitò a sfoderare uno dei suoi migliori sorrisi ed a sfiorarle elegantemente il dorso della mano con le labbra. Il volto di Kaori si imporporò leggermente, palesando il proprio imbarazzo..
 

- Molto piacere signorina Makimura…- l’uomo apprezzò il rossore diffuso sulle guance delicate della nuova conoscenza e si lasciò andare ad un’espressione lasciva: immediata, la mano della sorella impattò contro la sua guancia, lasciando l’impronta delle dita sottili.
 

- Non farti incantare dalle sue moine…- Miaka rassicurò una sorpresissima sweeper, che non si capacitava di una reazione tanto immediata quanto inaspettata – E tu vedi di tenere le tue manacce a posto, che lei è qui per lavoro non per soddisfare i tuoi istinti!- il ricercatore balbettò qualche scusa incoerente, cercando di rimediare alla figuraccia appena fatta, facendo ridere di cuore Kaori.
 

- Tranquilli, non è successo niente. Comunque, chiamami pure per nome, non sono necessari tutti questi formalismi…- e, ripresa la mano di Kitao, la strinse con fermezza. La sweeper aveva superato la sorpresa iniziale: l’uomo era bello oltre ogni immaginazione ed il risolversi comico di quella presentazione l’aveva levata da una situazione imbarazzante, a cui non era assolutamente preparata. Non doveva farsi coinvolgere da un cliente, si impose con fermezza. Il suo cuore si strinse su sé stesso, come se si sentisse minacciato dal fascino dell’uomo, ma il nome che invocò si perse tra i mille pensieri confusi della donna. Intanto, l’uomo si era allontanato per riporre il camice nel proprio armadietto, mentre Miaka afferrava provette e campioni vari e li infilava meticolosamente in una borsa refrigerante, seguendo alla lettera le istruzioni ricevute. Avrebbero proseguito altrove la loro ricerca e quei campioni erano la loro assicurazione sulla vita… almeno, così le aveva assicurato Saeba e lei si fidava di quell’uomo: l’espressione dei suoi occhi avevano un che di familiare che non le permetteva di ignorarlo, nonostante le sue apparenti movenze da maniaco.  

 

- Bene, Ryo, eccoci qua. Scusa se ti abbiamo fatto aspettare, c’è stato un piccolo contrattempo- lo sweeper sorrise, ben sapendo quale fosse stato il “piccolo contrattempo” cui si riferiva la sua socia, ma si astenne dal fare commenti che gli avrebbero solo procurato una sonora martellata. Piuttosto, si lanciò verso la cliente.
 

- Miaka, tesoro, mi sei mancata tantiss…- ma il suo volo fu interrotto da quello che, presumibilmente, era il fratello della sua preda: una mano robusta lo afferrò per la collottola, tenendolo poi sospeso a mezz’aria. Kaori, sbattè gli occhi, rinunciando ad evocare uno dei suoi soliti cartelloni: anzi, si diede della stupida, visto che stava per dimenticare i propri propositi e ringraziò mentalmente l’intervento tempestivo di Kitao. Saeba, vistosi impossibilitato a concludere il proprio attacco, si limitò a stringere la mano al nuovo cliente, caricare i loro borsoni nel baule ed a risalire in macchina… Per il momento se ne sarebbe stato buono: tanto avrebbe avuto tutta la notte per provarci, perché rischiare troppe volte la vita?,si disse, gongolando: immediatamente il suo volto si deformò nella sua peggiore espressione da maniaco e, Kaori, nel vederla, si trattenne a stento dal lanciargli un konpeito purificatore. Aveva deciso che non erano affari suoi e così doveva essere, avrebbe dovuto tatuarselo a fuoco nel cervello. Il ragazzo, intanto, dopo essersi immediatamente portato le mani al volto in difesa dell’eventuale attacco, le abbassò con espressione stupita: i due spettatori, non sapendo minimamente cosa sarebbe dovuto succedere, erano altrettanto stupefatti e scrutavano la scena con animo ansioso. In tutto questo, l’assistente di City Hunter aveva mantenuto il massimo autocontrollo, anche se, dentro di sé il suo animo ribolliva e sapeva che avrebbe faticato non poco per resistere quella notte: silenziosamente prese posto in macchina e si avviarono verso casa. La tensione era nuovamente palpabile, ma c’era qualcuno che pensava solo di volgerla a proprio vantaggio: Kitao era rimasto folgorato dalla bellezza semplice e trasparente della sua guardia del corpo e non aveva la minima intenzione di lasciarsela sfuggire. Si redarguì mentalmente: avrebbe dovuto comportarsi bene, non sembrava la ragazza che si faceva incantare da due moine… tanto più che aveva notato come aveva guardato il suo collega di lavoro. Ne era palesemente innamorata e lui avrebbe dovuto strapparla dalle mani del famoso stallone di Shinjuku, alias Ryo Saeba.  

 

- Ryo, lasciaci qui, è inutile che li facciamo scendere in garage, ti pare?- l’uomo annuì: la sua socia era diventata sempre più pignola per quanto riguardava la loro sicurezza e voleva impedire che i loro ospiti vedessero troppe cose. Con un sospiro appena accennato, accostò vicino all’ingresso del palazzo che aveva comprato tanti anni prima che lo stesso Makimura entrasse nella sua vita. L’imponente edificio intonacato ed assolutamente anonimo, si stagliava rassicurante nel crepuscolo cittadino, tingendosi di riflessi scarlatti sotto la luce del tramonto: le numerose finestre davano su ambienti abitati o meno, ma, dall’esterno, era quasi impossibile distinguerli. Era proprio grazie a queste piccolezze se molte volte si erano salvati la vita: il loro appartamento era disposto in maniera che i possibili punti di attacco fossero facilmente controllabili e dalle loro finestre si godeva la migliore visuale sull’ambiente circostante. Lentamente i suoi compagni di viaggio scesero dall’automezzo ed avvertì le sospensioni cigolare: borbottando qualcosa riguardo al fatto che era ora si decidessero a cambiare quell’accidenti di macchina, scese nell’autorimessa.  

Kaori estrasse il portachiavi dalla borsetta: era un piccolo Ryo di stoffa, vestito con una maglietta rossa, dei jeans chiari e il suo inseparabile spolverino. Non ci voleva poi molta fantasia per riconoscerlo in quel piccolo fantoccio che, in più di un’occasione, era servito come segnale tra i due soci in caso di pericolo. Sorrise, ricordando quando l’aveva cucito e le occhiate storte che le aveva scoccato il suo partner nel vederlo, ma scacciò in fretta l’immagine: avevano del lavoro da fare e lei non poteva più permettersi di indulgere nelle sue fantasticherie romantiche.
 

Spinse la porta, dura sui cardini e si fece da parte per far strada ai propri ospiti.
 

- Scusatemi se di sopra troverete un po’ in disordine, ma come sempre ci piomba gente in casa a sorpresa… e visto che Ryo è uscito dopo di me, dubito abbia messo in ordine- Miaka si lasciò scappare una risata, immaginando Saeba mentre puliva la casa, con grembiule fiorato ed aspirapolvere: impossibile!
 

- Il signor Saeba è uscito dopo? Perché, vivete insieme? Pensavo aveste appartamenti divisi- si informò, invece, Kitao. La giovane rimase un attimo perplessa, ma non notando niente di strano nel tono del suo cliente, si riscosse.
 

- Oh, si, inizialmente io avevo una stanza al piano di sotto, ma per vari motivi, soprattutto economici, ho preferito trasferirmi con lui: sapete, questo lavoro non dà grandi sicurezze e dover mantenere due appartamenti si è rivelato presto troppo oneroso- e poi, io dovevo proteggere le clienti, aggiunse tra sé e sé.
 

Già, dovevo
 

- Ah, capisco. Quindi voi siete solo colleghi di lavoro- insisté lui, innervosendola. Non le piacevano particolarmente le persone che facevano troppe domande… soprattutto quando quelle domande riguardavano il suo rapporto con il suo socio: la facevano sentire vulnerabile ed infantile.
 

- Esattamente- si limitò a dire, troncando ogni altra possibilità di dialogo in quella direzione. Miaka intuì che il fratello aveva parlato troppo e gli assestò una poderosa gomitata nel fianco che lui accettò con un mugolio soffocato. Possibile che gli uomini avessero tutti in mente una cosa sola e dimostrassero la sensibilità di un elefante?
 

- Kaori, vuoi una mano con quelle borse? Non mi sembra giusto che il peso lo porti tutto tu- cercò di rimediare la ragazza, allungando le braccia verso una delle sporte.
 

- Ma no, figurati!- si schernì lei – Voi siete ospiti… e di certo Ryo non gradirebbe che ti facessi portare dei pesi: basto io per queste mansioni- il gelo calò nel gruppetto di fronte a quell’affermazione: Kitao, allora, le prese senza dire nulla i sacchetti di plastica dalle mani e continuò a salire la rampa delle scale, lanciando insulti mentali a quell’essere spregevole a nome Saeba. La giovane sweeper rimase ammutolita di fronte a quel gesto di gentilezza in cui leggeva anche una sorta di rabbia malcelata: che aveva detto poi di strano? Era giusto che loro si occupassero dei clienti! E poi, le borse la portava lei solo perché Ryo era in garage a rimettere a posto l’auto, altrimenti ci avrebbe pensato lui…
 

Sospirò, intuendo che non avrebbe mai riavuto indietro la propria spesa, e salì velocemente i gradini che li separavano dall’ingresso, superando il cliente: appoggiò una mano alla maniglia, inserendo le chiavi nella toppa. Ma il suo sguardo fu attirato da qualcosa di lucente che rifletteva gli ultimi bagliori del sole calante e si chinò, rapida: teneva stretto tra le dita il piccolo filo che il suo socio aveva sempre cura di tendere di traverso alla porta per individuare eventuali intrusi.
 

Ed era tranciato di netto.
 

I due fratelli scrutarono perplessi Kaori: il corpo teso, il volto pallido e l’espressione dei suoi occhi che corsero rapidi alla porta ancora chiusa davanti a loro non lasciavano presagire niente di buono. La giovane, tesa fino all’inverosimile, cercava di obbligarsi a pensare: ma dove cavolo era il suo socio, eh? Possibile che ci finisse sempre lei in situazioni difficili da sbrogliare?
 

Click.
 

Il debole suono ferì come una cannonata il timpano della ragazza: senza pensarci due volte spinse i suoi clienti giù dagli scalini, mentre il boato di una potente esplosione scuoteva lo stabile. Il volo sembrò durare all’infinito, mentre scintille di legno roventi galleggiavano eteree nell’aria, posandosi dolorosamente sulle sue braccia scoperte. Come minimo si sarebbe ricoperta di bruciature e bolle, pensò incoerentemente, stringendo Miaka contro di sé, per proteggerla dall’impatto con il freddo pianerottolo… che non ci fu: la sua schiena batté contro il corpo di qualcun altro, mentre due mani forti la strinsero per le spalle, due mani calde e familiari, che, solo grazie al contatto, le diedero tranquillità. Sollevò lo sguardo ed incontrò gli occhi sereni di Ryo. Kitao era già in piedi e osservava sgomento la distruzione a cui era stato appena sottratto.
 

- Ben fatto socia, stai migliorando. Ora andiamo, dobbiamo sistemare la casa- le sorrise compiaciuto, notando le piccole macchie rosse che le coprivano braccia ed avambracci: si sarebbe dovuta medicare appena in casa, o le sarebbero rimasti i segni. Senza palesare il proprio pensiero, iniziò a saltare gli scalini, per andare a controllare la situazione: per fortuna che Kaori era migliorata o sarebbe stata una strage. E lui non era lì a proteggerla… scosse la testa: lui non era lì per proteggere i propri clienti: lei era abbastanza grande per cavarsela da sola, alla fine era la sua compagna, no? Guardò il salotto distrutto dalla deflagrazione: i contorni bruciacchiati dell’arredo erano solo un pallido spettro di quello che erano i loro mobili ed il pavimento era completamente distrutto fino alla soletta. Chiunque fosse stato, non aveva lesinato sull’esplosivo, voleva essere sicuro del risultato. Ed era anche un professionista: non c’era alcuna traccia della bomba… solo un esperto avrebbe intuito che non si trattava di un’esplosione di gas, analizzando le striature scure sulle pareti intonacate.
 

- Ryo, tutto a posto? Possiamo salire?- la voce limpida della sua compagna arrivò dalla tromba delle scale. Chissà la sua reazione di fronte a quello scempio…
 

- Si si, venite pure. C’è solo il soggiorno un po’ sottosopra…- rumori frettolosi di passi annunciarono l’arrivo degli altri. Un silenzio carico di stupore, timore e rabbia calò nella stanza. Ma, Kaori, si riprese in fretta.
 

- Prego, venite di qua. Sembrerebbe che le stanze siano rimaste illese, quindi potrete aspettarmi lì mentre preparo la cena- i due fratelli erano senza parole: il locale era completamente distrutto e lei parlava della cena. Kitao sorrise, apprezzando quel carattere forte: si, quella donna gli piaceva sempre di più. Scoccò un’occhiata in tralice alla figura dell’uomo di spalle che stava in mezzo a tutto quello sfacelo e sfoderò un sorriso di sfida: in animo suo si sentiva sicuro di vincere… sarebbe stato come sottrarre le caramelle ad un bambino: lui avrebbe potuto offrire sicuramente un futuro migliore ad una ragazza come quella e lei non avrebbe potuto resistergli.

 

 

Un rumore soffocato di risate proveniva dalla cucina.
 

- Sicuro che vuoi aiutarmi? Non mi sembri troppo a tuo agio tra le stoviglie- ancora risate e rumore di scodelle e bicchieri posati malamente sulla tavola. Ryo, fermo davanti alla finestra del soggiorno messo a posto alla meno peggio, gli occhi persi nella contemplazione delle mille luci della capitale del Giappone, sorrise: la voce argentina della sua socia sembrava avere il potere di illuminare la casa. Sempre con un’espressione serena in volto, raccolse il bicchiere che aveva appoggiato per terra, dirigendosi verso la fonte del rumore: la luce, assieme al delicato aroma della cena, filtrava dalla porta della cucina nel corridoio in penombra, costringendolo a socchiudere gli occhi ormai abituati all’oscurità. Ormai, dopo sette anni, dava la sua presenza per scontata: lei era la sua famiglia. Anzi, qualcosa di più… scosse la testa nel ricordare quanto successo nella radura, dopo il matrimonio di Umi e Miki, dandosi del folle. Però, tutto stava assumendo le tinte tenui del ricordo: erano tornati alla loro vita quotidiana, sicuri dei propri sentimenti, ma senza esternarli. E questo suo dare la presenza della socia come scontata forse non era la soluzione migliore: prima o poi avrebbe dovuto realizzare anche qualcuno dei sogni di lei, ne era consapevole. Perso nel suo flusso di pensieri, arrivò fino alla soglia della cucina e ciò che vide lo lasciò sgomento: Kaori e Kitao parlavano allegramente del più e del meno, ridendo come due vecchi amici.
 

Sentì il bicchiere scivolargli tra le dita, viaggiando veloce in direzione del pavimento, mentre la sua mente sembrava una lavagna appena cancellata da una mano incauta: la ragazza lo lasciava sempre senza fiato quando aveva quell’espressione sul volto e negli occhi… peccato che quel sorriso fosse solo suo! Le dita si strinsero convulsamente, impedendo all’ultimo che il vetro si frantumasse sul lucido parquet del corridoio, mentre la sua mente continuava a macinare pensieri confusi.
 

Generalmente era una persona molto riservata ed esageratamente timida… un comportamento del genere le era assolutamente estraneo. Si sentì ferito, come se gli fosse stata mossa direttamente una pesante offesa… e si stupì di come si sentiva.
 

Kaori era libera di fare quello che voleva, effettivamente: non c’era nessuna promessa esplicita, nessuno contratto scritto tra di loro. E come lui correva dietro alle clienti, altrettanto poteva fare lei.  

- Ryo, che ci fai lì sulla soglia senza dire nulla? Hai fame, vero?- la sua assistente l’aveva notato e lo osservava con aria scettica e vagamente preoccupata. Nervosamente, si sottrasse a quegli occhi indagatori e, posato il bicchiere miracolosamente salvo su un ripiano, si accomodò a tavola.  

- Si, anche se so che finirò per morire avvelenato dalla robaccia che cucini tutte le sante volte. Dovrò decidermi ad assumere un’ assistente degna di questo nome- l’offesa si perse nel silenzio della stanza: aspettava la reazione violenta della socia, che, inaspettatamente, non venne. Il suo volto si rabbuiò di nuovo: niente da fare, era troppo strana.
 

- Mi dispiace che non ti piaccia come cucino: vorrà dire che d’ora in poi andrai al ristorante. Oppure vai da una delle tue tante donne a farti viziare, hai solo l’imbarazzo della scelta!- il suo tono era duro, ma il suo cuore piangeva: come sempre Ryo riusciva a ferirla ed a tirare fuori i lati più estremi del suo carattere. Con lui non riusciva mai ad essere neutrale, scoppiava sempre in una direzione.
Bianco o nero.
 

Giorno e notte.
 

Giusto o sbagliato.
 

Ma lei, in fondo non era così ed era ora che anche lui lo capisse. Eppure, per un momento, quando l’aveva visto nel contorno scuro della porta, le era sembrato smarrito… come se quello che stava accadendo sotto i suoi occhi lo cogliesse totalmente impreparato. E, se quello magari se l’era potuto immaginare, altrettanto non si poteva dire per la scintilla di furia che aveva colto nei suoi profondi occhi scuri: quella la conosceva bene, in tutto il tempo che avevano passato insieme aveva imparato a notarla e temerla. Ero lo sguardo del guerriero senza scrupoli, privo di sentimenti e rimorsi… scosse la testa. Si era ripromessa di lasciarlo perdere e così doveva fare: anche se per questo doveva forzare la propria natura e mostrarsi molto più estroversa e brillante del solito. Non doveva cedere.  

Kitao osservò la scena, con aria distaccata e vagamente divertita: anche lui aveva notato lo scambio di sguardi e frecciate, ma gli conferiva un’interpretazione ben diversa da quella immaginata da Kaori. E poi, il feeling che si era instaurato tra di loro in pochi minuti gli era più che bastato: gli era stato sufficiente comportarsi come suo solito per vincere la naturale diffidenza della ragazza e, vista la reazione del suo socio, il suo era stato un risultato più che notevole. Quindi, senza commentare, si allontanò a chiamare sua sorella, lasciandoli soli.  

 

- Va tutto bene?- la ragazza trasalì, rischiando di farsi sfuggire la pentola bollente del riso. La domanda del socio l’aveva colta completamente impreparata: possibile che avesse veramente notato qualcosa?
 

Ovviamente a Ryo non era sfuggito il lieve irrigidirsi della propria compagna: bene, aveva visto giusto. Il problema, ora, era definire meglio ansie e paure della socia, prima che causassero troppi danni agli altri… ma, soprattutto, a loro… a lui.
 

- Certo. Perché me lo chiedi? Ho per caso fatto l’ennesima cosa sbagliata?- replicò lei con tono gelido, proseguendo a scolare l’acqua del riso: se avesse avuto qualcosa ancora da rimproverarle, gliel’avrebbe gettata in faccia, poco ma sicuro. Si era comportata in modo esemplare alla fine: niente scenate, niente piazzate. Aveva svolto il suo lavoro, magari non in modo eccellente, ma sicuramente in maniera apprezzabile… ricordava perfettamente quanto successo prima sulle scale ed il suo complimento inaspettato. Aprì il frigorifero, in cerca delle foglie d’alga per completare le polpette di riso che avrebbe servito di lì a poco.
 

- Non è a questo che mi riferisco e lo sai- la voce dell’uomo che amava le attraversò la testa, come un meteorite incandescente, lasciandola interdetta e confusa, immersa nella luce lattea dell’elettrodomestico. Prese tempo per pensare, armeggiando casualmente tra i ripiani, come se non trovasse quello che cercava.
 

- Guarda che le abbiamo finite. Il pacco nuovo e nell’armadietto sulla tua destra- proseguì l’uomo. Ormai lei era completamente sbalordita: a tal punto la osservava? Sapeva sempre quello che faceva e ciò che le passava per la testa… e arriva in aiuto. Anche solo per cercare un maledetto pacchetto di alghe secche!
 

- Ah, grazie…- senza accorgersene, appoggiò un braccio allo spigolo del frigorifero, lasciandosi andare alla propria afflizione: come poteva slegarsi veramente da qualcuno con cui condivideva anche i pensieri più semplici?
 

Una fitta improvvisa le risalì fino alla base del collo e si lasciò sfuggire un gemito: per la fretta di preparare la cena, non si era ancora messa l’olio sulle bruciature che si era procurata prima e ora iniziavano a far male. Ryo fu immediatamente accanto a lei, con un’espressione indecifrabile in volto.
 

- Su, ora siediti. Quelle vanno sistemate o ti resteranno le cicatrici- nessun commento pungente, nessuna animosità. Solo, pura gentilezza. Di fronte a ciò, una sempre più allibita e disarmata Kaori si lasciò cadere su una sedia: l’uomo prese una bottiglia d’olio, del cotone, ed iniziò ad occuparsi delle sue braccia, frizionandole con delicatezza. Tempo qualche secondo e la ragazza si sentì avvampare: la sua presenza lì accanto, la sua vicinanza, il suo profumo di olio lubrificante e dopobarba… doveva allontanarsi o finiva per farsi fregare di nuovo.
 

- Dai, lascia stare, ci penso io dopo!- si schernì, cercando di alzarsi. Ma la mano del suo compagno le si strinse intorno ad una spalla, bloccandola con la sua presa d’acciaio.
 

- Si, proprio come adesso. Ormai ho iniziato, lasciami finire e basta. Paura che ti mangi?- si osservarono intensamente per qualche secondo. Alla fine lei scosse la testa e lui tornò ad occuparsi serio del suo lavoro: stava facendo uno sforzo enorme per non prenderla, scuoterla ed obbligarla a dirgli ciò che le stava passando per la testa. E il suo profumo vanigliato non contribuiva molto alla propria lucidità di pensiero: ricordava ancora la consistenza setosa dei suoi capelli scaldati dal sole contro la sua guancia, quando l’aveva abbracciata nella radura al matrimonio di Miki ed Umibozu… avrebbe voluto avvertire ancora quel contatto così naturale ed intimo, ma non ne aveva il coraggio.
 

Tra di loro si stava lentamente ergendo un muro di vetro: se non avessero fatto qualcosa per muoversi da quella situazione comoda e nel contempo scomoda, ne sarebbero stati divisi.
 

Miaka e Kitao, nel frattempo, stavano tornando in cucina, chiedendosi il motivo di quel silenzio tombale: si erano aspettati di sentire urla per lo meno ed invece quella calma era sconcertante. Si affacciarono, timidamente: la ragazza arrossì vistosamente nel vedere quella scena tanto semplice, quanto affettuosa, mentre il fratello vedeva cadere velocemente le proprie quotazioni. Forse aveva cantato vittoria troppo presto, constatò nel vedere l’espressione dolce degli occhi dell’assistente dello sweeper.  

 

Ryo avvertì lo sguardo dei propri ospiti e passò rapidamente l’unguento sulle ultime bollicine.  

- Finito! Mangiamo, socia?- Kaori si riscosse come se si fosse appena svegliata: era così inusuale che il suo compagno fosse così gentile con lei, che si era persa nella magia del momento. Ma, la faccia da maniaco che gli era comparsa la riportò alla realtà come una doccia gelata ed intuì chi ci fosse alle sue spalle.
 

- Certo. Il tempo di sistemare il riso e possiamo incominciare- si alzò dalla panca e tornò ad affaccendarsi tra i fornelli. I due fratelli interpretarono la ripresa delle attività come un “via libera” e varcarono la soglia della cucina, avvicinandosi al tavolo.
 

- Miaka, tu mettiti qui- fece Kitao, indicandole il posto accanto a Saeba. Lei gli scoccò un’occhiataccia, palesando il suo dissenso su quella postazione: non voleva passare la serata a cercare di scacciare le mani di quel maniaco! Però, poi, notò la disposizione dei piatti e capì perché il fratello la gettava consapevolmente tra le braccia del lupo: lui sarebbe stato accanto all’assistente dello sweeper e avrebbe approfittato della sua palese gelosia. Sospirò e si prestò al gioco: alla fine l’uomo era invadente, ma simpatico. E, obiettivamente, era molto affascinante.
 

Osservò con attenzione i due uomini, uno seduto comodamente sulla panca, l’altro in piedi accanto a Kaori per aiutarla: erano molto più simili di quanto si aspettasse, almeno a livello fisico… aggrottò la fronte nell’immaginare cosa questo sarebbe potuto significare e la cosa non le piacque.
 

- Kitao, porteresti tu la pentola del riso a tavola, mentre io prendo gli altri piatti?- la voce della giovane la distrasse dai suoi pensieri e si dedicarono alla cena. Era incredibile vedere suo fratello darsi da fare in cucina, soprattutto con quel sorriso sereno in volto: forse, per una volta, non avrebbe dovuto tenere a bada i suoi bassi istinti, sembrava intenzionato a comportarsi bene.  

 

- Cosa?!- l’urlo di Kaori fece tremare i muri facendo accorrere tutti gli occupanti della casa: trovarono la ragazza davanti all’armadio della biancheria, impietrita.
 

- Ehi, che succede?- si informò Miaka, abbastanza irritata per essersi spaventata per niente. Ma dovette ritrarsi di fronte all’aura rosso sangue della sweeper: era palesemente furiosa. Fece scorrere il suo sguardo sui ripiani dell’armadio a muro, ingombri di lenzuola, cercando di capire cosa non andasse. Proprio in quel momento comparve anche Ryo, con aria assolutamente svagata: stava guardando la tv ed odiava essere interrotto, soprattutto non quando non avvertiva alcun pericolo. Tuttavia, anche lui si raggelò nel vedere la sua socia. Come se emergesse dalle nebbie eterne, ecco riaffiorare il vago ricordo di quanto gli era stato intimato quella mattina stessa… “Ryo, ricordati di ritirare le coperte in tintoria, mi raccomando!”. Kitao faceva girare alternativamente la testa, fermandosi a guardare prima l’uno e l’altra, sempre più perplesso: notò che lo sweeper sembrava guardarsi intorno in cerca di una via di fuga, mentre nelle mani della sua socia si materializzava un enorme martello con stampigliato sopra “10.000 ton”.
 

Crash!
 

Senza neanche capire quanto fosse appena accaduto, si ritrovarono ad osservare il povero Saeba con la testa completamente incassata nel pavimento e la sua socia che continuava a brandire il pericoloso oggetto contundente, guardandolo con rabbia crescente.
 

- Maledetto ubriacone con la testa fra le nuvole! Manco ti avessi detto di andare sulla luna… no, dovevi limitarti a ritirare la biancheria pulita dalla lavanderia che sta qui sotto! E adesso mi spieghi dove li facciamo dormire, eh?- improvvisamente il quadro della situazione fu chiaro a tutti.
 

- Scusa, mi sono proprio dimenticato…- farfugliò l’uomo, mentre cercava di liberarsi dalla morsa dei listoni di legno.
 

- Scusa un accidente!- inveì nuovamente la povera Kaori – Sei completamente inaffidabile!- Miaka cercò di rimediare in qualche modo.
 

- Ma stai tranquilla, non è successo nulla! Per una notte possiamo usare anche solo le lenzuola, tanto ormai non fa più così freddo…- la donna scosse la testa.
 

- Non capisci. Io, insieme alle coperte, avevo mandato a lavare anche i due vecchi futon che avevamo in casa… e, dato che non ci sono più altri letti disponibili, dovrete condividere la stanza con noi! Non ricordi che ci è saltato per aria il salotto?- sul volto dei due uomini apparve un ghigno compiaciuto: la nottata si stava prospettando interessante.
 

- Beh, ma dov’è il problema?- la ricercatrice continuava a vagare nella sua beata innocenza- Io sto in camera con te e Kitao dorme con…- un verso di disgusto le impedì di proseguire: entrambe si voltarono verso la fonte del rumore e assistettero ad una scena incredibile: Saeba e Kitao stavano in piedi, braccia conserte ed occhi chiusi, scuotendo energicamente la testa. Kaori sentì il suo autocontrollo sgretolarsi: non bastava quel maniaco del suo socio, ci si metteva pure il cliente!  

- Non esiste- sbottò Ryo – Io non dividerò mai il letto con un uomo!
 

- Esatto, sono d’accordo con lui!- rincarò l’altro. Le due donne avvamparono, realizzando quanto stava accadendo e sempre Miaka cercò di sfoderare una nuova soluzione alternativa, senza sapere che quella sarebbe stata la peggiore delle ipotesi.
 

- Beh, allora io dormirò con mio fratello e voi due…- il volto dello sweeper si deformò in una smorfia di disperato disgusto, mentre Kitao la guardava completamente incredulo: non pensava che sua sorella potesse rovinargli così i piani!
 

- In nessun universo! Io non dividerò il letto con questo travestito! Quasi quasi preferisco lui!- immediata, la martellata lo investì in pieno visto, scaraventandolo con il muro.
 

- Stai tranquillo, non sia mai che rischi di prenderti qualche malattia strana!- urlò Kaori, completamente fuori di sé – Vorrà dire che troverò una sistemazione alternativa!- e si allontanò con un completo pulito di lenzuola con cui sostituire le proprie. Dopo avrebbe chiamato Miki, chiedendole di ospitarla.  

 

- Perché no? Dai, mi spieghi come faccio? Dove dormo?- la povera ragazza era incredula: la sua migliore amica le stava dicendo che non poteva ospitarla per la notte e non se l’aspettava proprio.  

Ryo, intanto, ascoltava la conversazione dall’altra stanza, dandosi mentalmente dello stupido per aver rifiutato così platealmente la propria socia. Eppure, avrebbe dovuto essere contento di stare con lei… sarebbe stata un’occasione perfetta per capire a che punto stava il loro rapporto. E invece… le vecchie abitudini avevano vinto di nuovo. Osservò rapito la schiena della giovane donna, notando i muscoli contratti sotto il tessuto leggero della maglietta e la particolare inclinazione del collo che indicava la sua perplessità: immaginava perché la sua amica la stesse abbandonando e non poté fare a meno di sbuffare. Odiava chi cercava di intromettersi nella loro vita: era anche per questo che lui era così mal disposto verso la sua socia. Troppi occhi puntati addosso non facevano che acuire la sua personale insofferenza.
 

- Ma Miki, per favore… ah, capisco. Beh, se avevi altri progetti per la serata…- la ragazza avvampò inconsapevolmente: effettivamente tendeva a dimenticare che lei e Falco erano sposati e quindi non poteva certo dirle nulla. La salutò e posò con un gesto affranto la cornetta di plastica bianca. Pensò se chiamare Reika… o Mick… ma scosse energicamente la testa: la prima avrebbe invitato volentieri Ryo ed il secondo le avrebbe fatto passare una notte d’inferno con i suoi attacchi.  

Niente, le toccava restare lì.
 

Ryo si allontanò verso la terrazza: si prospettava una lunga notte. Ma un’altra figura nell’ombra aveva osservato tutta la scena e sorrise: Kitao, abbandonando definitivamente i suoi propositi di bravo ragazzo, pregustava già la notte che li attendeva…  

 

- Eppure, mi pareva di averlo visto qui!- borbottò Kaori, rovistando furiosamente nell’armadio del socio. Si era ricordata di aver visto un vecchio sacco a pelo… certo, non avrebbe tenuto un gran caldo, ma per lo meno non avrebbe dovuto dormire direttamente sul pavimento, avvolta solo in un lenzuolo. Spostò l’ennesima pila di riviste porno, degnandole solo di un’occhiata disgustata e finalmente trovò quanto cercato: un logoro sacco a pelo verde militare, arrotolato e fissato con dei pezzi di spago alla base di un enorme zaino da montagna in tela dello stesso colore che sembrava provenire dagli albori della civiltà tanto era mal ridotto. Slegò con calma i nodi e lo scosse un po’ fuori dalla finestra per liberarlo da un po’ di polvere. Quindi, recuperato il materassino che usava per fare ginnastica, portò il tutto in salotto, ondeggiando pericolosamente sotto l’enorme massa che le impediva di vedere dove stava mettendo i piedi: di certo non sarebbe stata nella sua camera… né, tanto meno, nella camera di Ryo. Sospirò, di fronte allo sfacelo della stanza: tutte le volte le distruggevano la casa e iniziava ad esserne stufa… avvertì una presenza alle sue spalle e, mollato la presa su quello che stringeva tra le braccia, si girò pronta a dar battaglia. Fermò il proprio martello appena in tempo, mentre Kitao indietreggiava impaurito.
 

- Kaori, c-che fai?- la ragazza si calmò: il sistema d’allarme era inserito, non doveva temere intrusioni a sorpresa… tanto più che c’era anche Ryo in casa!
 

- Non comparirmi più alle spalle così, hai rischiato che ti facessi veramente male!- lo rimbrottò, iniziando a sistemare il proprio giaciglio per la notte. L’uomo la osservò in silenzio per qualche istante.
 

- Non vorrai dormire sul pavimento, spero! Piuttosto, ci sto io- notò le mani della ragazza fermarsi un attimo, incerte, prima di riprendere la propria fermezza.
 

- Non dire sciocchezze. Tu sei ospite e poi si tratta solo di una notte! Speravo di trovare un’altra sistemazione, ma mi è andata male- replicò, con un tono che non ammetteva repliche. Si sentiva lusingata per le attenzioni che le venivano rivolte, così strane ed inusuali per lei, ma non avrebbe permesso a questa gentilezza di interferire con il proprio lavoro. Ryo glielo diceva sempre che era pericoloso farsi coinvolgere troppo dai clienti… anche se poi lui sembrava fare l’esatto opposto!  

Andò in bagno per cambiarsi per la notte, mentre il ricercatore tornava in camera, perso nei propri pensieri: ammirava quella fierezza che animava la ragazza, anche se non capiva cosa la tenesse legata ad una situazione che avrebbe sfibrato chiunque. Era evidente che il suo socio non era meritevole di tanta dedizione… entrò in camera, andando quasi a sbattere contro sua sorella.
 

- Ti piace, eh?- la squadrò: come sempre aveva letto chiaramente dentro di lui. Però, era rimasto stupito dal tono vagamente perplesso che aveva assunto: probabilmente era spiazzato dal suo comportamento inusuale. In altre occasioni si sarebbe comportato esattamente come Saeba: le sarebbe saltato addosso senza mezzi termini, ma stavolta voleva vincere proprio sulle differenze che poteva avere con quel maniaco.
 

- Può darsi… e anche se fosse?- la giovane donna sospirò.
 

- Beh, allora stai attento, Ci sarà qualcuno che non sarà tanto contento e ti metterà i bastoni tra le ruote- si voltò verso la finestra e rimase senza parole: l’oggetto inespresso della propria allusione stava attaccato al vetro, con un’espressione da maniaco stampata in volto ed un’evidente erezione che tirava il tessuto dei suoi pantaloni scuri. Avvampò, mentre suo fratello scacciava l’inopportuno ospite, e si chiese se avesse avuto veramente la giusta impressione riguardo alla coppia di sweeper.  

 

Kaori si sdraiò sul sacco a pelo: sentì l’urlo di Miaka provenire ovattato dalla sua stanza ma non fece neanche finta di alzarsi per punire il maniaco. Di sicuro ci avrebbe pensato il fratello a difenderne la virtù… e poi lei doveva restare ferma nel proprio proposito. Ripensò a quanto successo qualche ora prima in cucina: lui le era stato così vicino e si era dimostrato tanto premuroso… scosse la testa con decisione. Non doveva ricadere nel solito gioco: da quando si era dichiarato nella foresta, si era illusa che le cose sarebbero cambiate. Ed effettivamente si erano notevolmente avvicinati, questo era al di là di ogni ragionevole dubbio. Lui non usciva più tutte le sere e anche le sue proposte libidinose verso le poche clienti si erano drasticamente ridotte: l’aveva notato e la cosa le faceva piacere. Tuttavia, i loro rari momenti di intimità platonica iniziavano a non bastarle più e non si capacitava del perché, con lei, lui si frenasse così tanto. Saltava addosso a tutte, tranne che a lei!
 

Arrossì per il proprio pensiero audace: era proprio sicura che avrebbe voluto essere trattata così?  

No, si disse, non le sarebbe piaciuto. Ma se era l’unico mezzo per averlo… si sarebbe potuta accontentare. Beh, era inutile torturarsi oltre, ormai aveva preso la propria decisione: si sarebbe presa una pausa, si sarebbe staccata da lui. E poi avrebbe atteso il corso degli eventi, seguendoli senza più paura: ormai, più che avergli detto di essere innamorata di lui non poteva certo fare!  

Si rigirò su se stessa, stringendosi nel tessuto liso: l’odore di Ryo impregnava la stoffa… l’avrebbe riconosciuto tra mille. Le lacrime le imperlarono le lunghe ciglia e si addormentò, cullata da quell’aroma familiare e da un vago senso di benessere, simile a quello che provava tutte le rare volte che lui la stringeva a sé.  

 

Lo sweeper posò il bicchiere nel lavello lucido e svuotò il posacenere nella pattumiera. Badò che la bottiglia di whisky fosse esattamente dove l’aveva lasciata Kaori: sapeva che le dava fastidio che lui bevesse smodatamente, soprattutto quando c’era del lavoro da fare… e lui le dava retta perché sapeva che aveva ragione, anche se tutta quella sua serietà a volte gli sembrava esagerata. Avrebbe dovuto imparare a prendere le cose un po’ meno sul serio. Si avvicinò alla finestra socchiusa ed assaporò la quiete della notte, avvertendo la tensione che gli strisciava gelida sulla pelle: qualcosa stava per accadere, meglio stare in guardia. Spense la luce della cucina e si avviò silenziosamente nel corridoio buio: meglio non correre il rischio che la sua sensibilissima socia avvertisse la sua presenza e lo prendesse a martellate per raffreddare i suoi bollenti spiriti… il suo sguardo si incupì: qualcosa gli diceva che, però, non avrebbe corso quel rischio per un po’.
 

Anche quando aveva finto un attacco ai danni della nuova cliente la sua compagna non aveva minimamente finto di farsi vedere ed era stato scacciato da quel Kitao. Soffocò una smorfia di disprezzo: quel tizio non gli piaceva per niente, ronzava un po’ troppo insistentemente attorno a Kaori. Da un certo punto di vista gli ricordava Mick ed il paragone acuì la sua insofferenza: aveva sul serio rischiato di perdere la sua socia quella volta a causa della sua testardaggine e vista la loro attuale situazione quel tizio era completamente fuori luogo.
 

Ma la sua mente tornò insistentemente alla ragazza con cui conviveva da tanti anni: era diventata peggio di un chiodo fisso, non gli riusciva proprio di levarsela dalla mente. Ormai aveva rinunciato al suo proposito di farla tornare alla vita normale, la voleva accanto a sé. Però, oltre non si era spinto. Entrò nel soggiorno ed avvertì immediatamente che c’era un’altra persona nella stanza: un vago aroma fruttato serpeggiava etereo nell’aria e, nel silenzio vellutato si sentiva un respiro leggero, tipico di una persona immersa nel sonno. A tentoni seguì l’origine del suono, riconoscendo immediatamente la socia, e quasi inciampò quando il suo piede si scontrò con il suo corpo raggomitolato sul pavimento.
 

Che ci faceva lì?!
 

Ma si era ammattita per dormire per terra?
 

Si chinò accanto a lei ed osservò rapito il suo volto: piccole lacrime le imperlavano le ciglia e brillavano sotto la luce della luna che penetrava attraverso le tende mal accostate. Sembrava un piccolo cucciolo spaurito, rannicchiata dentro il suo vecchio sacco a pelo… faceva un certo effetto vederla dormire lì, dentro quello che era stato il suo giaciglio in tante notti nella foresta. Non credeva neanche di averlo ancora: niente di più facile che fosse stata lei a conservarlo. Sorrise con tenerezza e le accarezzò la testa, scostandole dal viso alcune ciocche ribelli: possibile che riuscisse ad essere gentile con lei solo quando era addormentata o gravemente ferita?
 

- Ryo…- trasalì nel sentirsi chiamare, ma capì che, come al solito, parlava nel sonno. Neanche nei suoi sogni riusciva a lasciarla tranquilla, evidentemente.
 

- Stai tranquilla, sono qui- mormorò, continuando ad accarezzarla. E ringraziò ancora il suo migliore amico per avergli lasciato un piccolo angelo come quello che non meritava minimamente. Quando smetterò di farla soffrire? Si chiese, allontanandosi per andare in camera sua.  

 

Mentre saliva le scale, si bloccò di colpo: c’era qualcosa che non andava. Salì di corsa gli ultimi scalini, sentendo il classico rumore del vetro che va in frantumi. Sfoderò la sua Python che si confuse con la notte, precipitandosi in camera di Kaori: la finestra era spalancata e sbatteva mossa dal vento, mentre minuscoli frammenti di vetro ricoprivano il tappeto e parte del pavimento. Il letto era vuoto e completamente sfatto: fece appena in tempo a vedere una figura vestita di scuro che si gettava dal davanzale, appesa ad una corda, stringendo tra le braccia la ragazza che avrebbe dovuto proteggere. Si diede mentalmente dello stupido, precipitandosi alla finestra: puntò la pistola, ma si rese conto che sarebbe stato inutile sparare, avrebbe rischiato solo di far del male alla propria cliente. Attirata dal trambusto, anche Kaori si era svegliata ed era accorsa nella camera con la sua arma in pugno.
 

- Ryo, ma che succede? L’allarme non è entrato in funzione?- chiese, affrettandosi verso Kitao, svenuto ai piedi del letto. Sollevandolo con delicatezza, notò che era stato colpito violentemente alla tempia: ecco perché non aveva urlato in cerca di aiuto. Sollevò lo sguardo, guardando il proprio socio che ancora non le rispondeva: l’uomo stava dritto e la sua figura si stagliava decisa nel telaio del serramento distrutto. L’unico segno della sua intima rabbia era il pulsare rabbioso della vena alla base del collo: ci voleva una buona dose di coraggio per alzarsi e guardarlo in volto: sapeva che sarebbe stata aggredita in malo modo e che nei suoi occhi avrebbe visto solo furia omicida. Tuttavia, appoggiò il giovane svenuto alla sponda del suo letto, prestando attenzione ai cocci lucenti e si avvicinò al suo socio.
 

Intanto,lo sweeper ribolliva e quasi non avvertì il tocco leggero della sua compagna che gli sfiorava il gomito: si era fatto giocare come un pivello e solo perché si era perso nella contemplazione di un volto addormentato. Si sarebbe volentieri preso a pugni.
 

- Dai, ora partiamo a cercarla. Sono sicura che la troveremo- sentì la furia liberarsi nel suo animo, incontrollata, per scaricarsi verso la sua vittima abituale.
 

- Troveremo? NOI? Ma se nel momento del pericolo sei stata capace solo di dormire! Lasciami lavorare da solo… ho fatto male a fare affidamento su di te!- le urlò contro, sapendo di essere fondamentalmente ingiusto: era lui quello sveglio, avrebbe dovuto rendersi conto da solo di quanto stava accadendo. La ragazza davanti a lui sembrò ritrarsi di fronte alla violenza delle sue accuse, incassando la testa tra le spalle.
 

- Hai ragione- si scusò – Avrei dovuto essere più vigile… ero io quella più vicina- ancora una volta il suo compagno aveva ragione: lei era in salotto e non si era resa conto di nulla: non poteva pensare che lui fosse sempre pronto a pensare a tutto, capita a tutti di avere un attimo di distrazione. E, lei, avrebbe dovuto esserci proprio per colmare quegli attimi, non per dormire tranquilla.

 

Si voltò, senza dire una parola, senza neanche avere la forza di piangere e tornò ad occuparsi del ferito che iniziava a riprendere i sensi. Ryo alzò una mano per fermarla, ma bloccò a metà il suo gesto: l’arrendevolezza della donna lo aveva spiazzato e poi non aveva tempo per consolarla, aveva una ragazza da salvare.
 

- Io vado a cercarla. Voi restate qui… e stai attenta- Kaori annuì e scrutò la schiena dell’uomo mentre si precipitava fuori dalla stanza: City Hunter si era attivato e questo la tranquillizzava. Chiunque avesse osato piombare nella loro casa, avrebbe pagato. Sospirò, amareggiata: era di nuovo inutile, un peso… la storia della sua vita.
 

- Kaori?- la voce debole di Kitao la riscosse dai suoi cupi pensieri. Gli sorrise, incoraggiante.  

- Tranquillo, Ryo penserà a tutto. Tua sorella è in buone mani, fidati. Ce la fai ad alzarti?- l’uomo annuì e raggiunsero insieme, barcollando, la stanza del suo socio, una delle poche ancora intere e posta in una posizione facilmente difendibile: nessuno sarebbe potuto entrarci non visto… e nessuno avrebbe potuto lasciarla da vivo.  

 

Saeba si impose di calmarsi: restando preda delle proprie emozioni non avrebbe combinato molto, poco ma sicuro. Osservò le scale che si perdevano nell’oscurità, verso il proprio appartamento: quando fosse tornato, avrebbe dovuto chiedere scusa alla sua assistente. Si rilassò e guardò la Mini parcheggiata in un angolo del garage: ormai completamente padrone di sé, si sedette al posto di guida e cercò di rintracciare il segnale della trasmittente che aveva attaccato alla propria cliente. Purtroppo la gittata dell’onda era molto piccola: avrebbe dovuto passare tutta la notte a vagare per le strade in caccia. Si aggiustò meglio e partì sgommando: quella era la sua vita e la scarica di adrenalina che avvertiva alla base della schiena lo facevano sentire vivo e appartenente a quel mondo.  

 

Kaori riconobbe il rombo del motore dell’utilitaria e vide schizzare l’auto fuori dal garage, dritta nelle strade deserte. Appoggiò la fronte al vetro, cercando di soffocare il tumulto della propria anima: l’istinto le stava urlando che c’era qualcosa di poco chiaro ed il silenzio del ragazzo sdraiato sul letto del suo socio ne era una chiara conferma.
 

- Kitao. Esattamente, quali sono stati i risultati delle vostre ricerche?- l’uomo aprì gli occhi, colpito dal tono serio della donna e capì che non aveva poi molto da nascondere: tanto valeva dire tutto e fidarsi.  

 

 


Chapitre: 1 2 3


 

 

 

 

 

   Angelus City © 2001/2005

 

Angelus City || City Hunter || City Hunter Media City || Cat's Eye || Family Compo || Komorebi no moto de