Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated G - Prosa

 

Autore: Paola

Status: Completa

Serie: City Hunter

 

Total: 1 capitolo

Pubblicato: 23-09-09

Ultimo aggiornamento: 23-09-09

 

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Humour

 

Riassunto: Stranito, il suo cervello intraprese la ricerca di uno spiraglio di chiarezza in tutta quell’assurda faccenda. L’illuminazione non tardò ad arrivare, a Ryo bastò un istante perché le lampadine del suo cervello si accendessero all’unisono.

 

Disclaimer: I personaggi di "Titolo da cambiare" sono proprietà esclusiva di Tsukasa Hojo.

 

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   Fanfiction :: Confessione indotta

 

Capitolo 1 :: Confessione indotta

Pubblicato: 23-09-09 - Ultimo aggiornamento: 23-09-09

 


Capitolo: 1


 

Confessione indotta  

 

Kaori spalancò con violenza la porta irrompendo nella stanza avvolta nella penombra.  

Uno sgradevole tanfo, mescolato all’odore pungente dell’alcool e della nicotina, la travolse improvvisamente, costringendola a deformare il viso in un’espressione di disgusto.  

La camera del collega era disseminata di cartacce, il cestino dei rifiuti era traboccante, riviste porno erano sparpagliate sul letto, sul divano, per terra.  

Uno strato di polvere era steso su tutti i mobili e dalle finestre dei vetri, opachi per la sporcizia, a mala pena filtrava la luce del sole.  

Quel puzzo insopportabile, insieme al caotico disordine che regnava sovrano, in mezzo al quale Kaori poté avvistare una gran quantità di volantini che propagandavano cinema porno, cabaret, spogliarelli, love motel e peep show, suggerivano che lo “Stallone di Shinjuku” aveva trascorso tutta la notte nel quartiere a luci rosse di Kabukicho.  

Due bottiglie di whisky vuote erano state abbandonate sul pavimento insieme ad alcuni indumenti da uomo: una maglietta, una giacca, dei jeans, un paio di pantaloni eleganti.  

Quel cialtrone di Ryo, non aveva neanche la decenza di poggiarli su una sedia.  

Prese a raccoglierli pazientemente da terra.  

“E questo? Cos’è?” si ritrovò a mormorare Kaori.  

Per scovare una prova inconfutabile dei suoi trascorsi, non era stato necessario frugare le tasche dei pantaloni del collega, era bastato sollevare una giacca. Sotto di questa infatti giaceva abbandonato un reggiseno dalla coppa enorme, di pizzo, blu, finemente lavorato. La sweeper analizzò con meticolosa diligenza il corpo del reato, al fine di risalire alla proprietaria dell’intimo.  

Lo distese davanti agli occhi e si convinse che la donna che lo aveva indossato apparteneva alla categoria delle maggiorate. Dalla raffinatezza del capo dedusse che, quasi certamente, aveva anche buon gusto nel vestire. Annusò il tutto, e si ricordò che quel profumo, quella fragranza costosa, lei, l’aveva già sentita. Ormai non c’erano più dubbi, Kaori poteva affermare di conoscere con assoluta certezza l’identità della donna che, quella notte, aveva tenuto compagnia allo Stallone di Shinjuku.  

Non restava che decidere della sorte del condannato.  

Si trattenne dallo scaraventarlo giù dal letto e dallo scorticarlo vivo sino a ridurlo un mucchietto di ossa.  

In fondo, perché non prendersela comoda? Appartarsi da qualche parte della casa, magari davanti ad una tazza di the, ed escogitare un modo per fargli sputare una confessione. In fin dei conti quel casanova era capace di rinnegare le realtà più evidenti, neanche se l’avessero scannato avrebbe rivelato i suoi peccati, né, tanto meno, avrebbe mutato la sua natura pervertita.  

Kaori cominciava a prenderla con filosofia. Se non poteva cambiarlo, perché non farlo pentire amaramente delle sue azioni sotterrandogli la dignità? E magari farsi pure quattro risate, perché no?  

Decise così di ricorrere alle tecniche di autocontrollo più sofisticate, inspirò ed espirò profondamente, si convinse che tutto andava bene, che il sole splendeva e i ciliegi erano in fiore e sgattaiolò fuori dalla stanza con la prova del misfatto ben stretta tra le mani.  

 

 

Se quella mattina avessero detto a Ryo: “Ryo! Ti arrostiranno se non ti alzi immediatamente!”, Ryo avrebbe risposto con voce assonnata, appena percettibile: “Arrostitemi, friggetemi, fate quel che volete, ma non mi alzo”.  

Altro che alzarsi, gli pareva di non poter neanche aprire gli occhi, perché, se solo lo avesse fatto, un fulmine si sarebbe schiantato sulla sua testa, facendogliela subito a pezzi. La testa gli doleva incredibilmente e nonostante avesse gli occhi sigillati, vedeva macchie giallognole cerchiate da lingue verdi fiammeggianti e, come se non bastasse, aveva la nausea.  

Ryo cercava di ricordare qualcosa, ma chissà perché gli ritornava alla mente un’unica scena: quella notte, chissà dove, stava in piedi, con una bottiglia in mano, accanto ad una ragazza che cercava di baciare, promettendole una notte di passione. Chi fosse la giovane, che ora fosse adesso, che giorno e che mese, Ryo lo ignorava completamente, e il peggio era che non riusciva a capire dove si trovasse. Si sforzò di risolvere per lo meno quest’ultima circostanza, e a tal fine cercò di sollevare la palpebra dell’occhio destro. Nella penombra riconobbe i mobili della sua camera, capì allora di essere disteso sul suo letto. A questo puntò sentì un tale colpo alla testa, che chiuse gli occhi soffocando un lamento. Tese le orecchie e si accorse che nell’appartamento regnava il più assoluto silenzio. Sarebbe rimasto volentieri a vegetare in quella camera se non si fosse sentito la bocca ardere di sete.  

Abbandonata l’idea di chiedere aiuto a Kaori, che sicuramente lo avrebbe mandato a strabenedire, decise di alzarsi, per quanti sforzi sovraumani potesse costargli.  

Ryo cercò allora di sollevare le pesanti palpebre e mettersi in piedi.  

Aveva un aspetto orribile, i capelli ritti in varie direzioni, la faccia coperta da una barba nera e ispida e gli occhi pesti, indossava ancora la camicia con la quale era uscito a far baldoria, mentre doveva aver abbandonato i pantaloni da qualche parte nella stanza, tuttavia aveva ancora addosso i boxer e i calzini.  

Riuscito a separarsi dal letto ed ad assumere una posizione più o meno eretta, sentì che i postumi della sbornia lo gratificavano di un ulteriore sintomo: gli pareva che il pavimento avesse assunto la consistenza di un budino gelatinoso e che sotto i suoi piedi vibrasse e sprofondasse mollemente.  

Si vestì di malavoglia e barcollante raggiunse la cucina attirato dal brontolio della caffettiera e dall’aroma di caffè che si diffondeva per casa.  

Giunto alla soglia esitò qualche istante prima di entrare.  

Kaori, come ogni mattina, seduta, sorseggiava la scura bevanda leggendo le notizie del giorno nel quotidiano locale, e fin qui, niente di strano, il problema era che, non era affatto mattina, l’orologio alla parete segnava le due e mezza passate, lui si era appena alzato e la socia non aveva ancora emesso un fiato.  

Era più di un conto che non tornava al city hunter, già, perché nonostante fosse rincasato ad un orario indecente, dopo un’intera notte di sollazzi, Kaori non lo aveva ancora spiattellato da nessuna parte, non lo aveva buttato giù dal balcone avvolto in una coperta e non gli aveva neanche strillato contro.  

Era più che stupito, ma non poté credere ai suoi occhi quando la giovane assistente, sorridendo, gli porse una tazza di caffè fumante.  

Forse questa volta, si disse, con l’alcol aveva proprio esagerato… Si ritrovava spettatore di scene improbabili, protagonista di una vita che non aveva niente a che fare con la sua. E sì, aveva proprio le allucinazioni! Quando mai si era vista una Kaori così premurosa, che lo lasciasse dormire sino a tardi e gli porgesse sorridente una tazza di caffè?  

Possibile che la ragazza si fosse finalmente decisa di non immischiarsi nella sua vita privata, nelle sue scappatelle notturne, nel suo sballato bioritmo?  

Mentre rimuginava su tali comportamenti, prese posto su una sedia, si grattò la testa e spalancò la bocca in un cavernoso sbadiglio, afferrò la tazza e senza pensare al pericolo ustione, la svuotò con un solo sorso. Ryo era così rimbambito quella mattina che avrebbe potuto bere arsenico senza rendersene conto, ma di una cosa era certo, quel caffè non era disgustoso, era ripugnante.  

Ecco che, allora, non aveva le allucinazioni… Kaori non aveva affatto perso l’abitudine di punirlo, questa volta aveva solo deciso di avvelenarlo!  

Con la bocca ancora impastata da quel sapore sgradevole dichiarò: 1) che Kaori era talmente incapace da non saper preparare neanche un caffè decente; 2) che quel caffè sapeva di sciacquatura di piatti; 3) che era una donna gelosa che stava cercando di intossicarlo con i suoi intrugli.  

Kaori strinse il labbro inferiore sotto i denti.  

Per quanto rimbecillito dalla sbronza, Ryo sapeva che rivolgere apprezzamenti del genere alla collega, era un po’ come dare l’avvio ad un comando di autodistruzione, così, aspettando la fine del mondo, si rifugiò di filato sotto il tavolo, occhi sigillati, denti stretti e mani sulla testa.  

Uno, due, cinque, dieci secondi…Nulla, nessuna esplosione di rabbia: o la sua collega aveva rallentato i tempi di reazione o, ma ciò gli sembrava assurdo, era salvo.  

Sollevò prima una palpebra. Tutto tranquillo. Sollevò l’altra. Non accadeva ancora nulla. Anzi, no, la collega si mosse, gli venne vicino e Ryo si sentì nuovamente perduto.  

“Kaori…” balbettò.  

Ma Kaori ignorò il suo lamento e procedette verso il tavolo.  

“Kaori…” farfugliò nuovamente. Vide le gambe della giovane piegarsi sulle ginocchia. Era la fine! Poteva cominciare a raccomandarsi a Dio…  

Ma cosa?!? Era proprio un sorriso quello che scorgeva sulle labbra di Kaori? “Ma che diavolo stava succedendo?” si domandò lo sweeper quando vide il sorriso della partner tramutarsi in incontenibile risata. Che cavolo rideva? Era impazzita? Aveva perso il senno? Cosa ci trovava di così divertente?  

Stranito, il suo cervello intraprese la ricerca di uno spiraglio di chiarezza in tutta quell’assurda faccenda.  

L’illuminazione non tardò ad arrivare, a Ryo bastò un istante perché le lampadine del suo cervello si accendessero all’unisono. Infatti, quando improvvisamente si ritrovò costretto ad aggrottare le sopracciglia, ad assumere uno sguardo estremamente concentrato e serio e una copiosa quantità di sudore prese ad inzuppargli le tempie, capì che la parte inferiore del suo intestino aveva deciso, non di sua spontanea volontà, di mettersi in piena attività e di provocargli lancinanti fitte all’addome. Chissà perché aveva una bruttissima sensazione.  

Pensò ad una pianta, ma non ad una pianta qualunque, ad una caratterizzata da fiori arancio, privi di petali e riuniti in lunghe infiorescenze a pannocchia, e al suo frutto, avvolto da morbide protuberanze, simili a spine, di colore rosso bruno. Tutte le parti della pianta, e soprattutto i semi, erano velenose, sia per gli uomini, sia per gli animali. Il nome scientifico di quella pianta era Ricinus communis, e dai suoi semi, ricordò con orrore Ryo, veniva ricavato un potentissimo lassativo inodore, dal sapore sgradevole, lo stesso che continuava a persistere nella sua bocca, ormai asciutta.  

Preso atto del problema, ponderò bene ogni singola azione, qualsiasi gesto avventato avrebbe potuto essere fatale.  

Fradicio di sudore, lentissimamente, abbandonò il proprio nascondiglio con passi da formica e una volta in piedi, con le braccia avvinghiate al ventre, la schiena leggermente piegata in avanti, iniziò a correre, in modo alquanto goffo, verso ciò che in quel momento costituiva la sua unica salvezza: il bagno.  

“Disgraziata,” urlava dirigendosi verso l’agognata meta “cosa diavolo hai messo in quel caffè?”  

Kaori non ce la faceva più, ormai rideva senza ritegno davanti a quella scena. Le sembrava di assistere in diretta alla pubblicità di un prodotto contro gli attacchi di diarrea improvvisi, per di più, Ryo, non era ancora arrivato davanti la porta del bagno, che già si era calato giù i pantaloni.  

Doveva sbrigarsi, si diceva lo sweeper, adesso solo una porta lo separava dal suo obiettivo.  

“Ma cosa?!?”  

Abbassò la maniglia, una, due, tre volte, ma la porta era e rimase chiusa, bloccata, sigillata.  

Gli occhi dello sweeper si riempirono di terrore, non sarebbe riuscito a trattenerla ancora per molto.  

“KAORIIIIIII” urlò con le lacrime agli occhi, disperatamente appeso alla maniglia.  

“Cerchi questa?” gli domandò la donna, avanzando tranquillamente verso di lui e mostrandogli una chiave.  

“Ma dico, sei impazzita? Dammi quella chiave, sbrigati” tuonò.  

La collega sorrise accennandogli un no con la testa.  

“Dammela o non rispondo di me” la minacciò, ma lei, niente.  

“Ti prego” la supplicò in ginocchio.  

“No, no” rispose lei.  

“Ti scongiuro” la pregò con le lacrime agli occhi, grondo di sudore.  

Kaori rifletté qualche istante, poi disse “D’accordo, se proprio la vuoi, te la darò…”  

Ryo sorrise di gioia e il suo intestino anche.  

“Ma ad una condizione…”  

“Lo sapevo” pensò Ryo. Cosa avrebbe dovuto fare per ottenere quella chiave, le piroette?  

“Devi rispondere ad alcune domandine” chiarì la sua assistente.  

“Sei una sporca ricattatrice, dammi la chiave senza fare tante storie!”  

“Bene, se non vuoi stare ai patti…” gli comunicò Kaori allontanandosi.  

A quel punto lo stomaco dello sweeper brontolò rumorosamente, ricordando a Ryo che era quasi al limite, presto sarebbe scoppiato e non era proprio il caso di fare storie.  

“No,” la scongiurò cercando di trattenerla “risponderò alle domande, farò quello che vuoi, tutto”. Ormai era solo un uomo disperato.  

La donna si rese conto di averlo incastrato per benino, rise soddisfatta, Ryo era in trappola.  

Gli si avvicinò e cominciò l’interrogatorio:  

“Dove sei stato fino alle cinque di questa mattina?”  

“Al night club delle conigliette”  

“E dopo?”  

“Alla Pappa del Gatto”  

“Poi?”  

“Al locale di Erika”  

“E quindi?”  

“In giro per Shinjuku”  

“Con chi?”  

“Ma da solo…” balbettò Ryo, la memoria cominciava a ritornargli.  

“Da solo…” gli fece eco la partner, poco convinta.  

“Ne sei proprio sicuro?” gli domandò, cercando di dare uno scossone alla sua memoria mostrandogli la prova del misfatto, il reggiseno che aveva trovato quella mattina nella sua stanza.  

Nel vederlo Ryo deglutì nervoso “Come cavolo aveva fatto a trovarlo?” si domandò.  

“Ehm..” borbottò, non sapeva che scusa inventarsi.  

“Dimmi Ryo,” chiese Kaori avvicinandosi “non è che, per caso, ti sei visto con una certa Saeko?”  

Ryo di colpo si ritrovò la bocca amara e un espressione da ebete dipinta sul volto.  

“Rispondimi!” gli urlò imperiosa la ragazza.  

Ryo era al limite, teneva le braccia strette sul ventre e la fronte corrucciata per il dolore, doveva confessare o non avrebbe mai avuto la chiave.  

“Si, si, Kaori, ma adesso, dammi quella chiave”  

Ma la socia non aveva nessuna intenzione di mettere fine al terzo grado.  

“Non ti avrà mica appioppato uno dei suoi incarichi?”  

“Ehm…”  

“RYO” lo richiamò Kaori.  

“Si, si. Mi ha promesso sei mokkori, non potevo mica rifiutare dopo un offerta del genere…” confessò.  

“Ah, è così… La bella Saeko ti ha promesso sei mokkori e tu hai accettato…”. Kaori era diventata paonazza per la rabbia.  

“Già, sarebbe stato da sciocchi rifiutare, mi ha promesso e assicurato che questa volta avrebbe pagato. Ha pure firmato un accordo scritto” aggiunse lo sweeper con il tono di chi vuole e crede di aver la ragione dalla sua parte.  

“E con cosa?”  

“Con cosa?”  

“Si, con cosa avrebbe deciso di pagarti la bella Saeko?”. Gli occhi di Kaori erano braci ardenti.  

“Mokkori…” confessò stremato, indotto dalle sue impellenti necessità biologiche.  

“Dunque le cose stanno così…” affermò Kaori stringendo i pugni sui fianchi.  

Ryo, ancora in ginocchio, alzò lo sguardo verso la donna. Fumante di rabbia la vide brandire un martello da cento tonnellate, impugnarlo come una mazza da cricket e scagliarsi contro di lui, pronto a colpirlo come se si fosse trattato di una palla.  

In meno di qualche secondo si ritrovò sparato in aria, scagliato a gran velocità verso una porta che si frantumò all’impatto.  

Almeno il bagno l’aveva raggiunto!  

 

 

 

 

 

 

 


Capitolo: 1


 

 

 

 

 

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