Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated R - Prose

 

Auteur: Esus

Status: En cours

Série: City Hunter

 

Total: 3 chapitres

Publiée: 06-05-04

Mise à jour: 10-05-04

 

Commentaires: 5 reviews

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ActionRomance

 

Résumé: Due fratelli chiedono la protezione della coppia di sweeper più famosa del Giappone, che accetta il caso. Cosa succederebbe se, per proteggerli, Kaori fosse costretta ad uccidere?

 

Disclaimer: Disclaimer: City Hunter ©Tsukasa Hojo, Sueisha, Sunrise, Jump Comics, Star Comics e degli aventi diritto.

 

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   Fanfiction :: La quotidianità avvelena l'anima

 

Chapitre 3 :: 20/03/2003

Publiée: 10-05-04 - Mise à jour: 10-05-04

 


Chapitre: 1 2 3


 

Disclaimer: City Hunter ©Tsukasa Hojo, Sueisha, Sunrise, Jump Comics, Star Comics e degli aventi diritto.
 

Miaka e Kitao Akizuchi, come tutti gli altri personaggi nuovi che compariranno durante la storia appartengono a me.  

 

Eccomi ancora qui con il terzo capitolo! Devo ammettere che, nonostante la storia sia stata ben delineata fino alla fine (il che per me ha quasi dell’incredibile), il tutto mi sta prendendo un po’ la mano e la sto arricchendo di dettagli imprevisti… speriamo di non andare troppo lontano dal seminato!
 

Mi ero dimenticata di dire una cosa… ho inventato la faccenda della milizia dello stato dell’Oman: in realtà la scelta di quello stato è legato ad uno dei ricordi migliori di una delle mie lezioni di geografia del liceo e solo per quello ho scelto questo tra i vari stati del Medioriente. In realtà avrei anche potuto inventarmi tutto di sana pianta, ma avrei dovuto spiegare troppe cose e io sono terribilmente pigra… tutto questo per dire che fatti e nomi citati sono assolutamente di fantasia e non hanno nessun sottinteso, nessun intento politico o nessun altro tipo di significato che gli si potrebbe attribuire! Semplicemente, è in funzione della mia storia!
 

Ok, ora rispondiamo ai commenti come sempre, che è la parte che preferisco in assoluto *_*!
 

Rosi-chan: adoro i commenti lunghi come il tuo, lo sai? Mi dà enorme soddisfazione scrivere e ricevere un riscontro del genere (eh eh, l’ego smisurato della scrittrice ha bisogno ogni tanto di essere rinfrancato :P), soprattutto quando non si tratta di lodi sperticate, ma anche di qualcosa di costruttivo. Hai perfettamente ragione, da un certo punto di vista mi sono riavvicinata ai toni cupi iniziali… semplicemente perché, essendo in pericolo la sua socia, credo che Ryo si comporterebbe proprio così. E poi, aggiungi che il mio intento era proprio mostrare una Kaori assolutamente contrastante con quella che siamo stati abituati a conoscere: fredda, spietata e pronta ad uccidere senza rimorsi. Ci sono riuscita, vero? (Se non si nota, sono in cerca di conferme :P)
 

Guarda, per quanto riguarda la tua offerta di beta-leggere i miei capitoli, non posso che ringraziarti… magari, la prossimo capitolo potrei approfittare della tua pazienza: qualcuno che corregge le mie eterne sviste non può che essere benvenuto!
 

Cmq,per tornare in tema… per il lieto happy end, temo dovremo attendere entrambe un po’… a onor del vero non so neanche se farlo troppo felice (traduzione: grande conflitto nel mio povero cuoricino che avrebbe voluto vedere ben altro al 39 volumetto >.<), anche perché rischierei di ficcarci dentro spoilers che ricorderebbero certe scene di Angel Heart, rovinando magari la sorpresa agli altri (beh, sono stata troppo curiosa ed ho letto in anteprima gli altri volumi ^_^;;)! Però, credo finirà che mi ispirerò all’atmosfera che ho trovato nelle nuove tavole del sensei, giusto per non andare troppo out of character e per far felice anche noi poveri fan in generale!
 

Serena: esagerata… ti ringrazio per i complimenti e sono felice che la mia fic ti piaccia, così tanto… tutti questi complimenti mi mettono sempre in imbarazzo, lo ammetto! Beh, spero proprio di continuare a meritare le tue lodi anche in questo capitolo… ovviamente ogni commento, positivo o negativo è il benvenuto!
 

Evy: bentornata! Vedo che il tuo entusiasmo non è minimamente diminuito e ne sono contenta! E in questo capitolo leggerai la risposta alla tua domanda... Kaori si salverà e, in un certo sensa, sarà grazie a Ryo. Ma non dico di più o rovino la sorpresa!
 

Bene, come al solito mi dilungo troppo in chiacchiere, quindi sarà il caso di lasciarvi al capitolo… finirà che le risposte ai commenti le metterò a fine capitolo, altrimenti chi legge potrebbe spaventarsi :P! Buona lettura!  

 

Tokyo, 20 Marzo 2003  

 

Oscurità.
 

Silenzio.  

Una giovane donna vagava in quel nulla che la circondava su ogni lato, senza aver la benché minima idea di dove andare. Indossava una tuta mimetica lacerata in più punti e pesanti scarponi militari incrostati di polvere e sangue. Lacrime le scendevano copiose dagli occhi arrossati, scavando sottili sentieri sulle guance coperte di polvere grigiastra.
 

Come mai è tutto così buio e silenzioso qui?  

Lo sguardo perso esprimeva vivo terrore e le braccia andarono a stringersi attorno al busto magro in un infantile gesto di protezione contro l’ignoto. Kaori aveva paura… si sentiva sola, completamente abbandonata a se stessa.
 

E stanca. Infinitamente stanca.
 

Si sedette con gesti meccanici e privi di vitalità, continuando a sperare di penetrare quella coltre nera che le impediva di vedere qualsiasi cosa. Il freddo iniziò a penetrarle fino alle ossa, facendola scuotere con terribili tremiti: il tessuto del vestito che indossava era leggero e liso, non forniva più grande protezione ed il braccio scoperto, imbrattato di nerofumo, era quasi gelato.  

Come ci sono finita qui?  

Un dolore sordo le invadeva tutto il corpo, annullando ogni altra percezione… non ricordava da quanto stesse camminando, da dove venisse, né cosa stesse cercando. Passato e futuro, giorno e notte si erano mescolati in un nulla assoluto in cui lei stava sprofondando sempre di più… e il senso di abbandono e straniamento si acuivano ad ogni fitta che le partiva dall’addome. Seduta nel buio, si strinse le ginocchia al petto, impaurita. Le sembrava di essere tornata bambina, quando, rannicchiata in un angolo del salotto, attendeva trepidante che il suo papà rincasasse dal lavoro. Ma lui una sera non era più tornato…
 

Era morta anche lei?
 

No, non lo era… questa era la sua unica certezza in quell’assoluta mancanza di riferimenti. Lei era viva e doveva restarlo, questo era il suo imperativo.
 

Ma per chi sto sopportando tutto questo?
 

Tuttavia, pur non avendo una risposta a questo suo nuovo interrogativo, si sentì rinfrancata dall’avere un obiettivo semplice: e se non ricordava da chi sarebbe dovuta tornare, per lo meno l’avrebbe fatto per sé stessa. Nuovamente determinata, si rialzò e riprese a camminare. Prima o poi sarebbe arrivata da qualche parte.  

 

Il corridoio della casa era silenzioso. Chiunque passasse sul pavimento di legno lucido aveva l’accortezza di non fare il benché minimo rumore, timoroso di guadagnarsi le ire di Kazue che faceva continuamente avanti e indietro dalla camera della paziente. Ormai Kaori era senza conoscenza da tre giorni, senza dar alcun segno di ripresa, ma neanche di peggioramento: semplicemente, dormiva ed ogni tanto era scossa dalle convulsioni, anche se ormai erano quasi scomparse, segno che la fase acuta dell’avvelenamento era stata superata con successo.  

 

I fratelli Akizuchi lavoravano senza sosta da 72 ore nel laboratorio sotterraneo del Professore, dandosi vicendevolmente il cambio ed effettuando ogni sorta di test sull’antidoto che avevano messo a punto per invertire il processo innescato dalla sostanza che la ragazza si era fatta iniettare. Leggevano l’urgenza negli occhi di chiunque venisse a chiedere come stesse procedendo il lavoro, come se non fosse stato sufficiente il senso di colpa che li stava lentamente consumando: erano perfettamente consapevoli di essere una delle principali cause dell’attuale stato della sweeper ed avrebbero fatto di tutto per salvarla.
 

Miaka si asciugò la fronte imperlata di sudore, mentre analizzava l’ennesimo campione di coltura: sospirò di sollievo nel vedere che non c’erano state mutazioni impreviste… ancora due giorni senza imprevisti e l’antidoto sarebbe stato pronto. Ma, prima di ogni altra cosa, Kaori doveva risvegliarsi e riprendere le forze o la violenta reazione suscitata dal composto avrebbe potuto ucciderla. Sollevò uno sguardo preoccupato verso la branda in cui dormiva Kitao: gli occhi infossati nel viso, non riusciva che a dormire poche ore ed il suo sonno era agitato e pieno di incubi. Probabilmente si sentiva ancora più responsabile di lei, avendo iniettato lui stesso la sostanza alla donna e non riusciva a darsi pace… sospirò nuovamente e tornò al lavoro.  

 

Un uomo sui trent’anni, con capelli color del grano maturo e due occhi azzurri come il mare sedeva nel portico, con i piedi sospesi a qualche centimetro dal prato curato della villa. Le mani coperte da guanti bianchi non riuscivano a stare ferme: era preoccupato come tutti per la ragazza, il suo primo amore, la donna di cui sarebbe rimasto innamorato per tutta la vita. E, per quanto avesse capito cosa avesse spinto Kaori a comportarsi così, non riusciva a darsi pace… eppure sapeva che non avrebbe mai potuto fermarla, la sua determinazione era proverbiale, soprattutto quando poi Ryo era coinvolto. Possibile che amasse così tanto quell’imbecille? Non meritava affatto tutta quella dedizione! Un uomo anziano gli si affiancò, appoggiando delicatamente il proprio bastone sul pavimento accanto a lui.
 

- Come sta?- il vecchio si levò gli occhiali e li pulì con cura con un fazzoletto, ostentando una grande calma. Era sinceramente stanco di vedere tutte le persone girare per casa con uno sguardo perso e preoccupato: sapeva che pretendevano da lui un miracolo, ma lui non poteva far poi più di tanto.
 

- Mick, è inutile che voi tutti me lo domandiate ogni cinque minuti. Sta come ieri, né meglio, né peggio. Se ci saranno miglioramenti, vi avvertirò, stai tranquillo. E ora, vedi di sparire, che sono stufo di avere scocciatori per casa!- l’ex sweeper sgranò gli occhi di fronte alla veemenza del Professore e si alzò senza dire una parola. Evidentemente era anche lui preoccupato per la situazione della compagna di City Hunter… e, a proposito, dove si era cacciato quell’idiota? La sua partner stava male e lui se ne andava in giro?!
 

La rabbia si impadronì dell’animo di Mick: odiava quando lui faceva l’indifferente. Si preoccupava troppo di quello che avrebbero detto o pensato gli altri: al diavolo le apparenze, cosa gli costava mostrarsi almeno interessato allo stato di salute di Kaori? Lei si trovava in quello stato proprio per il suo socio e sembrava che la cosa non lo riguardasse! Borbottando tra sé e sé, si diresse verso l’ingresso, senza sapere che l’oggetto dei suoi rimproveri mentali era solo a qualche metro da lui.  

 

Il silenzio regnò ancora per qualche istante: l’uomo si godette il tepore del sole e l’aria tiepida primaverile per qualche istante, prima di partire all’attacco dell’ombra acquattata nei cespugli.
 

- Babyface, quello che ho detto all’americano vale anche per te. Sbaglio, o ti avevo intimato di andartene a casa?- il tono duro dell’uomo costrinse lo sweeper ad abbandonare il proprio nascondiglio e ad alzarsi in piedi, con un sorriso tirato stampato sul volto.
 

Il Professore lo fissò con aria critica: il viso era stanco e gli occhi, stanchi, avevano perso gran parte della loro solita lucentezza. Si stava consumando lentamente e neanche se ne rendeva conto… tutte le notti veniva di soppiatto a vegliare il sonno della sua partner, fissandola in silenzio, per poi sparire all’alba, facendo finta di niente con gli altri. Ed a nulla erano valsi i rimproveri che gli aveva mosso giusto qualche ora prima, lui si era ripresentato, ostinato come suo solito: quello era senso di colpa all’ennesima potenza, si sentiva responsabile dello stato in cui versava la sua socia. Ma, se lei fosse stata sveglia, gli avrebbe fatto notare che ogni sua azione era frutto di una propria scelta consapevole… e anche Ryo avrebbe dovuto accettarlo presto: Kaori non era più una bambina, ma una donna in grado di decidere della propria vita.
 

- Lo so, ma sono solo venuto a fare una visita: come vede è giorno, non notte, no?- si difese con aria imbarazzata: gli era veramente difficile ammettere di essere preoccupato per la donna, soprattutto con sé stesso.
 

- E va bene – capitolò – Vai pure nella sua stanza. Dirò a Kazue di non disturbarvi- e, ripreso il proprio bastone, si allontanò in direzione della cucina. Lo sweeper saltò agilmente nel portico e si avvicinò alla porta: come sempre esitò qualche secondo davanti alla maniglia, diviso tra la possibilità di scappare lontano e l’entrare ad affrontare quel nemico invisibile che stava distruggendo la sua partner. Infine si decise a varcare la soglia ed entrò nella camera immersa nella penombra: qualche raggio del sole pomeridiano filtrava attraverso le tende scure accostate per schermare la finestra, permettendogli di individuare una sedia su cui sedersi. L’aria era impregnata dal classico odore di ospedale, che lui aveva sempre odiato: l’olezzo venefico della morte che si mescolava a quello di disinfettante e di bucato. Ormai le stava vicina da troppi anni per non individuarla e riconoscerla…questo poteva significare solo una cosa: Kaori stava cedendo, lentamente, alle lusinghe della maledetta signora e voleva abbandonare la lotta per la vita. La sola idea gli era inconcepibile e avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per impedirle di andarsene: Makimura non gliel’avrebbe mai perdonato… lui non se lo sarebbe mai perdonato.
 

Una volta accomodatosi, osò guardare la donna: il suo volto delicato era imperlato di sudore diaccio ed era deformato da una smorfia di sofferenza… ormai era così da tre lunghi giorni e sapeva benissimo che non avrebbe avuto alcuna speranza se prima non fosse stato messo a punto l’antidoto. Si dispose ad una lunga veglia, con il volto appoggiato ad una mano e il viso sempre rivolto verso di lei: desiderava solo che riaprisse i suoi incredibili occhi e che lo fissasse con la sua aria innocente e gioiosa. Non voleva ricordarla con lo sguardo che aveva mentre lottava contro la milizia dell’Oman… se non fosse tornata come prima, avrebbe torturato lentamente tutti i responsabili di quella situazione: lui rivoleva disperatamente ed egoisticamente la sua Kaori.  

 

Mascat, 20 Marzo 2003
 

Ufficio del capo dell’esercito, Sultanato dell’Oman  

 

I caldi raggi del sole penetravano a fiotti attraverso la grande finestra dell’elegante locale posto nell’ala est del palazzo reale. Un uomo dal portamento fiero varcò la soglia della stanza ed appese il cappello all’appendiabiti posto dietro alla porta. Gli piaceva il suo ufficio, silenzioso e sobrio nell’arredamento: posò il proprio sguardo distratto sulla bandiera del sultanato che spuntava da dietro la scrivania in noce finemente intagliata con motivi floreali, prima di sedersi sulla poltrona il pelle nera. Si lasciò andare ad un sospiro desolato: la colazione con il ministro del tesoro non era andata secondo i suoi piani e non riusciva a capacitarsi degli ennesimi tagli ai fondi destinati all’esercito. Se fossero andati avanti di quel passo, si sarebbe presto trovato a capo di truppe ridicole, mal armate e ridotte ai minimi termini… se non, addirittura, a casa propria, senza lavoro. Sospirò, irritato per la pessima politica intrapresa dal sovrano, che andava a mostrarsi moderato proprio mentre la situazione degli stati confinanti, eccessivamente turbolenta, avrebbe imposto un regime più autoritario.
 

‘Maledizione’, sibilò tra i denti ed aprì l’agenda di pelle che troneggiava al centro del piano lucido del tavolo: mentre dava una scorsa ai vari appuntamenti della mattinata* nella speranza di poterne annullare qualcuno, il telefono iniziò a suonare. Temendo l’ennesima brutta notizia, si portò il ricevitore all’orecchio: ascoltò, sentendo la rabbia e lo sgomento impadronirsi del suo animo, la voce distorta che lo informava sulle ultime notizie. Ma ben presto l’ira abbatté il proprio autocontrollo.  

- Come sarebbe a dire che la milizia è stata completamente abbattuta? Ed il composto?- non ci credeva: un gruppo di uomini scelti, i migliori del proprio esercito, uccisi come dei pivelli qualsiasi… inspirò a fondo per recuperare il proprio controllo, mentre il suo contatto all’ambasciata gli rivelava che la missione era stato un completo fallimento e che la polizia aveva catturato gli unici superstiti. Il silenzio crollò pesante, interrotto dal crepitio delle scariche elettrostatiche che disturbavano la linea.  

- E a chi devo il naufragare della nostra missione?- il generale avvertì distintamente l’uomo all’altro capo del filo esitare ed intuì che la sua risposta gli sarebbe piaciuta ancora meno.  

- City Hunter… era stato assunto per proteggere gli Akizuchi… ed è il miglior sweeper del Giappone!- il militare strinse con forza la cornetta tra le dita abbronzate ed avvertì chiaramente lo scricchiolio della plastica che cedeva alla pressione esagerata: quel tizio aveva incrociato la strada dell’uomo sbagliato ed avrebbe pagato.  

- Non mi interessa chi sia. Eliminatelo con qualsiasi mezzo- decretò con decisione: alla fine era solo un uomo, non sarebbe stato difficile prenderlo di sorpresa.  

- Ma, generale… non è solo! E la sua assistente…- l’uomo ricominciò ad irritarsi.  

- E allora? Non dirmi che hai paura di un uomo e della sua donnicciola! Avranno anche sbaragliato il mio gruppo, ma probabilmente perché li hanno presi di sorpresa…-  

- No, signore, aspetti! Pare che la donna si sia fatta iniettare composto e che i ricercatori abbiano quasi messo a punto l’antidoto…- la scintilla della speranza e dell’ambizione si riaccese negli occhi del soldato che si rilassò visibilmente.  

- In questo caso… rapite la donna, rubate l’antidoto ed ammazzate il suo compagno. Vi do quarantotto ore- riagganciò: il suo umore aveva avuto un brusco miglioramento. Avevano già una cavia che testava l’elisir dell’invincibilità e un antidoto per impedire di perdere uomini preziosi: sarebbe stato facile incantare il re ed ottenere maggiore considerazione. Cosa avrebbe potuto chiedere di più?  

 

Tokyo, 21 Marzo 2003  

 

Una luce improvvisa squarciò la tenebra.
 

Rumori, odori e colori invasero e distrussero la tranquillità ovattata in cui Kaori vagava senza meta da tempo indeterminato.
 

La giovane donna urlò per la sorpresa, lasciandosi cadere sulle ginocchia mentre le sue mani tremanti coprirono gli occhi feriti dal bagliore improvviso. Si sentiva letteralmente sopraffatta ed impreparata a quella novità…
 

I secondi passarono e si trasformarono in minuti prima che osasse spiare timidamente quanto stava accadendo: una miriade di fotogrammi scorreva di fronte a lei, come sullo schermo di un cinema. Era una sorta di spettatrice dei propri ricordi, frammenti di una vita sicuramente intensa a cui non sapeva se tornare: ne rammentava troppo poco per avvertire forti motivazioni. L’unica cosa che percepiva chiaramente era una sofferenza data dal contrasto di emozioni e passioni e non era tanto certa di essere pronta a riaffrontare tutto questo.  

 

Una fiammella azzurro elettrico.
 

L’acqua fresca le scorreva sulle dita sottili.
 

Un delicato aroma di carne arrostita le solleticò le narici.
 

Sollevò la testa e si trovò, avvolta in un semplice grembiule verde mare, in una cucina. Gli armadietti, di legno chiaro, avevano una linea semplice ed occupavano ordinatamente le pareti. Le verdure, lavate e tagliate, facevano bella mostra di sé in un’insalatiera di vetro blu. Il tavolo era apparecchiato semplicemente per due persone: due piatti, due bicchieri, due coppie di bacchette ed una bottiglia d’acqua facevano mostra di sé sul piano lucido del mobile.
 

Facendo scorrere lo sguardo perplesso nel locale vuoto, si chiese chi fosse il suo misterioso ospite, prima che tutto svanisse nuovamente.  

 

Aria fresca che le lambiva dolcemente le guance, carica degli odori della notte.
 

Il rombare delle macchine in lontananza la spinse ad aprire gli occhi.
 

Davanti a sé lo spettacolo era meraviglioso e sconvolgente: la città era letteralmente ai suoi piedi, la dominava dalla cima di quel terrazzo spoglio ed anonimo.
 

Apprezzò la tranquillità che si godeva lassù, facendo vagare lo sguardo tra le luci del crepuscolo, prima di rendersi conto di non essere sola. Si voltò lentamente verso la sua destra e notò, curiosa, una figura girata a tre quarti, che si stagliava nettamente contro lo skyline cittadino. Una vaga sensazione di benessere e di irrequietezza le si irradiò dal cuore mentre si concentrava sull’uomo sconosciuto: spalle larghe, capelli neri arruffati, profilo deciso e sguardo cupo che vagava tra i tetti delle case sottostanti. Tra le mani abbronzate stringeva un bicchiere colmo di un liquido ambrato, probabilmente whisky… il vento della sera trasportò verso di lei un vago aroma alcolico mescolato ad un profumo dolorosamente familiare: forte e deciso, aveva un che di selvatico e muschiato che le fece stringere il cuore. Che fosse lui la persona per cui stava cucinando? Mosse qualche passo nella sua direzione, ma la scena sparì nuovamente, lasciandole solo un forte senso di perdita misto a confusione.
 

Chi era quell’uomo?
 

Improvvisamente le fu chiara una cosa: era per lui che stava lottando contro la tenebra che la tentava con le sue magnifiche lusinghe.
 

Era per lui che non si limitava a sedersi ed a godersi un riposo che era sicura di meritarsi.  

 

Rosso… rosso… rosso vermiglio ovunque.
 

Il pavimento di listoni di legno lavorati approssimativamente sembrava tinteggiato di quel terribile colore, creando uno scenario assolutamente raccapricciante.
 

Le dita doloranti erano strette intorno al calcio di una pistola: l’arma era calda e l’odore penetrante della polvere da sparo si mescolava con quello ferroso del sangue. Osservò senza capire le proprie mani, cercando di capire che stesse succedendo: gli occhi dettagliarono meglio quanto la circondava… cadaveri, soldati vestiti di una tuta mimetica simile alla sua, sembravano comparire ovunque guardasse… ed improvvisamente tutto le fu chiaro: sangue, sangue che imbrattava le pareti, sangue che impregnava il pavimento e l’aria con il suo caratteristico odore…
 

Lo stomaco le si strinse in una morsa di disgusto mentre lasciava cadere l’arma: il metallo impattò contro la cassa di legno a cui si stava appoggiando ed il suono rimbombò nel magazzino ormai deserto. Si allontanò, improvvisamente conscia di essere lei l’autrice di quella strage. Il cuore le si frantumò in miliardi di pezzi e venne sommersa da una sofferenza tanto grande da annullare il suo animo già provato: avrebbe voluto trovarsi a milioni di chilometri di distanza, lontana da quella dolorosa ed umiliante consapevolezza. Un chiaro rumore di passi acuì il suo senso di panico: sollevò gli occhi ricolmi di lacrime verso la direzione da cui proveniva il suono.
 

Due scarpe di pelle morbida, segnate dagli anni…
 

Due lunghe gambe muscolose, avvolte in un paio di pantaloni neri, sporchi di terra ed erba.
 

Due mani macchiate di sangue… una maglietta dello stesso colore dei calzoni…
 

Lui
.  

I suoi occhi esprimevano tenerezza e amore... dispiacere per lei, senso di colpa. E sofferenza. Desiderò alzarsi e cancellare quel dolore che leggeva in quello sguardo caldo e avvolgente.
 

Ed, improvvisamente, ricordò.
 

Ryo!  

 

Un altro giorno era passato e Kaori continuava a dormire. Ryo si sfiorò la barba nascente che gli scuriva le guance e si alzò dalla sedia sui cui era rimasto inchiodato per 24 ore. Massaggiandosi la schiena, si avvicinò alla finestra e sbirciò attraverso la fessura lasciata tra le tende. La giornata stava facendo il suo corso naturale: il sole scendeva lentamente verso l’orizzonte, mentre le ombre dei grattacieli di Shinjuku si allungavano lentamente, coprendo le piccole abitazioni che costituivano il minuto tessuto urbano. Gli uccelli volavano leggeri nel cielo sgombro dalle nuvole e le persone si muovevano oziosamente, assaporando la bella giornata primaverile…
 

E se non si fosse più svegliata?  

L’interrogativo inquietante gli attraversò il cervello come una fucilata, prima ancora che potesse fermarlo: strinse convulsamente i pugni, quasi distrutto da quanto sottinteso da quella domanda. Eppure, non era da lui essere tanto pessimista, doveva darsi una scossa! Tuttavia, non poteva fare a meno di chiedersi per quale motivo sarebbe dovuta tornare cosciente. Cosa poteva spingerla a ritornare in quella realtà che la faceva solo soffrire? O, meglio…
 

Perché sarebbe dovuta tornare da lui?
 

Di nuovo, il tarlo del rimorso tornò a rosicchiargli la mente: avrebbe dovuto allontanarla da lui, come gli suggeriva il cervello, non avrebbe dovuto permettere che giungessero a quel punto. Certo, Kaori aveva fatto la sua scelta consapevolmente, ma non poteva esimersi dal sentirsi ancora responsabile. La promessa fatta a Maki in quel lontano 31 marzo continuava a riecheggiargli nella testa, accompagnata dal rumore scrosciante della pioggia… non gli aveva chiesto niente di specifico, ma solo di badare a lei. E lui aveva fatto quello per tutti quegli anni, senza rendersi conto che ben presto lo faceva più per sé stesso che per il suo migliore amico.
 

Piano piano quella ragazza gli era penetrata sotto pelle, annullando la presenza effimera di tutte le altre donne: lei era l’unica compagna possibile per lui, il suo primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera, la sola ragione per cui calpestava ancora il suolo di quel mondo maledetto. Probabilmente, se quella strana coppia di fratelli non fosse piombata nella sua vita, ora sarebbe stato una persona priva di sentimenti e di umanità e per questo non li avrebbe mai ringraziati abbastanza.
 

Arrivava a paragonarla sempre più spesso al suo arcobaleno personale… suo e di tutti i suoi amici: il suo passaggio aveva lasciato un segno indelebile e inconsapevole nella vita di tutti loro. Sorrise ricordando il suo sguardo felice quando l’aveva stretta tra le braccia al matrimonio di Miki e Falcon: non era stato necessario pronunciare troppe parole, si erano compresi reciprocamente.
 

Ed erano tornati alla vita di tutti i giorni: lui stava lentamente cambiando, ma era difficile cancellare su due piedi le abitudini accumulate in otto anni, anche se sapeva che quella situazione faceva soffrire la sua socia.
 

Eppure anche lei avrebbe dovuto capire che ormai il loro era un legame indissolubile: una loro separazione era inconcepibile, sarebbe equivalso a distruggerli entrambi. E lui non l’avrebbe mai lasciata.
 

Si girò e osservò la donna profondamente addormentata addormentata: la flebo che le veniva iniettata attraverso il braccio era quasi vuota e presto Kazue sarebbe venuta a sostituirla. La testa affondava nel grosso cuscino ed i corti capelli dai riflessi rossi sembravano risplendere, colpiti dai pochi raggi che filtravano dalle tende; il semplice lenzuolo di cotone bianco che la copriva si sollevava aritmicamente, seguendo il suo respiro tranquillo, e seguiva le sue forme armoniose e perfette. Era bellissima e non ne era minimamente cosciente: a furia di sentirsi prendere in giro dal suo socio, aveva iniziato a dar credito alle sue parole. Lo sweeper sorrise silenziosamente, avvicinandosi: tese una mano e le sfiorò delicatamente il viso.
 

‘Piccola e dolce Kaori’ sussurrò con voce roca, rabbrividendo al contatto con la pelle vellutata della compagna, come se fosse stato attraversato da una scossa elettrica; lasciò indugiare il proprio sguardo sui lineamenti finalmente distesi della donna e fece per tornare alla finestra, quando si arrestò di colpo.
 

Qualcosa non andava.
 

Avvertì una strana elettricità nell’aria e tornò a guardare la sua partner che si mosse bruscamente: improvvisamente emanava agitazione e dolore e quelle sensazioni così forti lo colpirono direttamente al cuore, lasciandolo completamente spiazzato.
 

E poi, improvvisamente ed inaspettatamente, aprì gli occhi. Si guardarono per lunghi istanti senza dire una parola: lei che cercava la forza per articolare qualche parola, lui che non credeva più possibile che quegli occhi si sarebbero posati su di lui.
 

- Ciao Ryo… - riuscì finalmente a sussurrare. Si sentiva come se avesse fatto un viaggio lunghissimo e le sue fatiche furono ricompensate dallo sguardo che le lanciò il suo compagno.
 

- Ciao Kaori… bentornata-  

 

- Si è svegliata? Veramente?- Miki scoppiò in lacrime abbracciando convulsamente il marito, che arrossì immediatamente, mentre cercava goffamente di calmarla. Saeko e Reika sorrisero e Mick abbracciò con foga Kazue, dando libera espressione al proprio sollievo. Il gruppo di amici era palesemente felice per la notizia, ma tutti si erano accorti che mancava qualcuno di importante all’appello: Ryo per l’ennesima volta non aveva fatto finta di presentarsi… nessuno fece commenti e, anzi, cercarono di allontanare dalle proprie menti quella presenza scomoda.
 

- Possiamo vederla?- chiese Miki, una volta che ebbe recuperato il controllo su sé stessa. Il Professore sembrò pensarci per qualche istante e scambiò un’occhiata complice con la sua assistente.
 

- Beh, sarebbe meglio che entraste uno alla volta… ma per ora c’è già qualcuno con lei, dovrete riuscire a cacciarlo! Ma, ricordate, niente emozioni forti, è ancora troppo debole- e si allontanò, senza aspettare la reazione che le sue parole avrebbe sicuramente scatenato. Kazue, dopo aver depositato un bacio veloce sulle labbra del suo compagno, scappò a sua volta per evitare di dover dare spiegazioni. I cinque si ritrovarono da soli nel mezzo del corridoio a guardare la porta chiusa dietro a cui stava Kaori.
 

- Ma che intendeva dire?- chiese Mick, esternando il dubbio suo e delle tre donne. Falcon si schiarì la voce: aveva ovviamente percepito la presenza di Ryo, ma non sarebbe di certo stato lui a tradirla. Si limitò ad incrociare le braccia sul petto, aspettando che qualcuno dei presenti reagisse in qualche modo. Saeko scosse la testa.
 

- Beh, qualunque cosa volesse farci capire, finché non entriamo nella stanza non la sapremo- e spalancò la porta. Ryo era seduto su una sedia in un angolo e dormiva profondamente mentre Kaori, tranquillamente sdraiata, sollevò la testa dal libro che stava leggendo, attirata dal rumore. Rivolse ai nuovi arrivati uno dei suoi migliori sorrisi, ma il gruppetto di amici era rimasto congelato nel proprio stupore: come un sol uomo fissarono lo sweeper che non sembrava intenzionato a svegliarsi, probabilmente perché non avvertiva alcun pericolo. Gli abiti stropicciati, la barba stranamente incolta e le occhiaie scure che circondavano gli occhi chiusi lasciavano intendere che non si fosse allontanato troppo spesso dalla camera della sua socia negli ultimi giorni: russava rumorosamente e sembrava talmente indifeso in quel momento che nessuno osò deriderlo per il suo stato.
 

- Sono felice di vedervi tutti qua… mi dispiace avervi fatto preoccupare- Miki sorrise, radiosa, e corse ad abbracciare delicatamente l’amica che rimase sorpresa ed imbarazzata per il gesto. Saeko si avvicinò a sua volta al letto, seguita da un Mick sbavante che intanto si stava rimangiando tutte le cattiverie che aveva lanciato contro l’amico giapponese.
 

- Tranquilla, l’importante è che tu ora stia bene, no?- sottolineò Falcon, sorprendendo tutti. Kaori, intuendo quanto le parole dell’uomo, generalmente taciturno, sottintendevano, si irrigidì per un istante e si liberò dalla stretta dell’ex mercenaria. Effettivamente non stava bene, per niente. Certo, fisicamente si era ripresa, ma mentalmente…certo, inizialmente era rimasta sconvolta dal ricordo di quanto aveva fatto, ma tutto sembrava essere svanito con il suo risveglio: il senso di colpa era stata rapidamente soppiantato da una glaciale indifferenza e dal sollievo di essere viva. Non le importava minimamente né di chi aveva ucciso, né delle persone che la circondavano in quel momento e vagamente intuiva che questo non era il comportamento che si sarebbero aspettati da lei. Nel cervello aveva stampata un’unica consapevolezza: poteva contare solo su se stessa… e l’unica persona che potesse rivestire una qualche importanza per lei era Ryo.  

- Infatti- confermò, per poi rivolgersi a Reika – Potresti prendere una coperta dall’armadio e coprire quel maniaco? Non vorrei che si ammalasse… poi finisce che la userebbe come ennesima scusa per non lavorare!- tutti risero per la battuta caustica in direzione dello sweeper che per una volta non avrebbe potuto sparare una delle sue risposte pungenti. L’investigatrice si affrettò ad esaudire la richiesta mentre Kaori, mantenendo un falso sorriso stampato sulle labbra, posava il volume che aveva continuato a stringere tra le dita, sul comodino accanto al letto: il suo scopo era continuare con la sua recita ed, alla prima occasione utile, avrebbe pensato a come sistemar tutto.  

 

Tokyo, 22 Marzo 2003.
 

Shinjuku, casa Saeba  

 

- Eccoci qui!- quelle erano le prima parole che Ryo pronunciava da quando avevano lasciato la casa del Professore. Per tutto il tragitto in auto i due partners erano stati seduti in silenzio: lo sweeper ogni tanto gettava occhiate costernate alla compagna, che si ostinava a guardare fuori dal finestrino, apparentemente persa nella contemplazione del paesaggio. Eppure, inconsciamente, avvertiva che non era così: sa quando si era risvegliata, Kaori era strana. Non che abitualmente non lo fosse, anzi negli ultimi giorni era stata anche parecchio scostante verso di lui, ma ora era veramente troppo: non avvertiva alcun tipo di emozione provenire da lei, sulla pelle sentiva solo una vaga sensazione di gelo. Aveva chiaramente notato il suo sguardo totalmente privo del suo caratteristico slancio passionale: neanche le sue solite battute avevano scatenato la rabbia dirompente… non riceveva una martellata degna di questo nome da un tempo che gli sembrava infinito.
 

Kaori, dove sei finita?
 

Dal canto suo, la ragazza era veramente esausta: il breve viaggio in macchina l’aveva completamente spossata, tanto che, pur notando lo sfacelo in cui versava il loro povero appartamento, si avviò docilmente verso la propria camera, limitandosi a scansare i detriti sul pavimento. Si sentiva fondamentalmente a disagio: lo sguardo indagatore del suo socio le bruciava lungo la schiena e non sapeva come avrebbe reagito a qualche sua domanda… sperò ardentemente che evitasse di ricordare quanto successo in quella fabbrica di ceramica e che le venisse risparmiata la solita sfuriata che le cadeva in testa ogniqualvolta lei faceva uno dei suoi colpi di mano. Con passo tremolante arrancò sulle scale, aggrappandosi al corrimano e cercando di mantenere un minimo di dignità nella postura: il Professore e Kazue le avevano assicurato che la sua debolezza era principalmente dovuta all’eccessiva perdita di sangue e che si sarebbe ripresa rapidamente in un paio di giorni.
 

Ryo la seguiva, portando la piccola borsa in cui la socia aveva riposto i vestiti sporchi e l’occorrente per riassumere un aspetto umano dopo quanto aveva sopportato nelle ultime novantasei ore: intuiva che non voleva essere aiutata, che voleva dimostrargli di non essere un peso… si lasciò sfuggire un sorriso. Per quanto strana e diversa, da quel punto di vista non era cambiata: orgogliosa e testarda come sempre! Altro che il suo Sugar Boy che si sentiva mancare solo per aver assistito ad una semplice scazzottata in un vicolo…
 

Quasi la travolse, tanto era perso nei suoi pensieri: la giovane donna era rimasta immobile sulla soglia della propria camera e contemplava il disastro che si presentava di fronte ai suoi occhi increduli: piccoli frammenti di vetro luccicavano come stelle, tappezzando di riflessi imprevisti il letto ed il pavimento. I mobili erano completamente sotto sopra, a seguito sicuramente di una minuziosa perquisizione e lei si sentì completamente svuotata; era una cosa che ancora faticava ad accettare, non poteva sopportare che un perfetto estraneo mettesse le mani tra le sue cose… era peggio che neanche essere catturate e picchiate: il senso di violazione era sicuramente peggiore.
 

Poggiò una mano allo stipite, non notando il braccio del compagno che era già corso al suo fianco, pronto a sorreggerla, e sospirò rumorosamente.
 

- Devo mettere a posto prima di poter andare a letto- commentò, muovendo qualche passo verso l’interno, ma Ryo la fermò.
 

- No, tu ora ti riposi. A sistemare qui ci penso io, va bene?- il tono non ammetteva repliche, ma l’anima polemica di Kaori non si lasciava mettere da parte così facilmente: ruotò su se stessa e fronteggiò il proprio compagno, con un’espressione fin troppo scettica.
 

- Tu cosa faresti? Non ci credo neanche se lo vedo!- l’uomo scoppiò a ridere.
 

- Guarda che non sono un incapace… prima che tu ti trasferissi qui, come pensi che facessi io?- effettivamente, l’osservazione era giusta. Ma, prima che potesse dire altro, fu assalita da un forte senso di nausea: forse si era girata troppo rapidamente… le ginocchia improvvisamente si fecero deboli e, se non fosse stato per l’intervento rapido di Ryo, sarebbe svenuta in mezzo alla propria stanza.
 

- Scusa…- mormorò, troppo stanca per poter formulare una frase migliore. L’uomo si limitò a stringerla a sé e la portò in camera propria, per distenderla sul proprio letto. Quindi, sempre in perfetto silenzio, uscì, chiudendosi la porta alle spalle e lei si addormentò, tranquilla, cullata dal dolce profumo dell’uomo che traspirava dalle lenzuola.  

 

Il sole rimbalzò sulla lente del binocolo ed il soldato si affrettò ad abbassarlo. Quindi, prese la trasmittente che portava alla cintura e, controllata la frequenza di trasmissione, riferì quanto visto.
 

- Sono già tornati?- la voce gracchiante del proprio superiore era difficilmente comprensibile tra le scariche elettrostatiche che invadevano la linea di comunicazione.
 

- Esattamente, signore. L’uomo sta sistemando la casa e la sua partner è nella sua stanza, addormentata- confermò la sentinella, allontanandosi rapidamente dal proprio posto di osservazione.
 

- Perfetto, allora diamo via al piano. Non sono ammessi fallimenti, sai che il generale non ama ritardi sui propri ultimatum- e la conversazione fu interrotta bruscamente. Il mercenario si acquattò nell’ombra, in attesa che scendesse la notte.  

 

 

(*) Ricordate il fuso orario? Se in Giappone è pomeriggio, ovviamente in medioriente è mattina… nessun errore di distrazione, quindi!  

 

 


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