Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated R - Prosa

 

Autore: fire

Status: In corso

Serie: City Hunter

 

Total: 10 capitoli

Pubblicato: 27-08-07

Ultimo aggiornamento: 02-09-07

 

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ActionRomance

 

Riassunto: Storia AU - OOC

 

Disclaimer: I personaggi

 

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   Fanfiction :: moris

 

Capitolo 5 :: Miki e Kazue Natori

Pubblicato: 27-08-07 - Ultimo aggiornamento: 27-08-07

Commenti: Come potete vedere dal cognome, Miki e Kazue in questa storia sono sorelle. In questo capitolo potrete scoprire cosa sono Le Lacrime Di Venere e che funzione hanno all'interno della storia.

 


Capitolo: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10


 

Raggiunsero il salotto di Miki.  

 

Erano passati pochissimi istanti da quando Hayato era entrato, erano state fatte le rispettive presentazioni e poi i due si erano messi a fare "due parole" ancora nel corridoio dell'appartamento. Ma Kaori constatò che sembrava che fossero passate ore! Si sentiva davvero di troppo in mezzo a quel quadretto da «Love Boat» ma non poteva farci niente.  

 

Nonostante tutto, era felice.  

 

Già si vedeva zia ad accudire le due piccole pesti di Miki ed Falcon che si erano presi due giorni di stacco dal mondo per stare soli soletti. Kaori guardò i due che nel giro di cinque minuti si erano lanciati delle occhiate molto affettuose: e sembrava che davvero si conoscessero da sempre. Beh, aveva scoperto un lato di suo fratello che prima di allora ignorava. Forse «la lezione» di Amanda gli era servita. Carpe diem! Pensò la ragazza mentre Miki, dopo averli fatti accomodare, si era assentata in cucina a preparare dell'altro caffè.  

 

Ora suo fratello Hayato era seduto difronte a lei a braccia conserte e sguardo serio, nella sua solita posizione da «palo di scopa piantato su per il culo» come lo prendeva in giro sempre Mick: schiena dritta, braccia incrociate sul petto, gambe piegate e leggermente divaricate, testa alta e fiera, ed occhiali neri da sole che scrutavano attentamente il piccolo salotto della cliente di sua sorella.  

 

Quando era accorso all'indirizzo prestabilito non avrebbe mai pensato di fare una conoscenza così tanto piacevole. Inutile negarlo: l'aveva sempre sognata così la donna con cui avrebbe voluto passare tutta la sua vita. La conosceva da cinque minuti neppure e già il suo sesto senso l'aveva riconosciuta. Era lei, non c'erano dubbi.  

 

Chissà come sarebbe stata bella il giorno in cui l'avrebbe aspettata all'altare. Evitò di sorridere perchè sua sorella Kaori, seduta sul divanetto davanti al suo, lo stava già scrutando con uno sguardo «di chi la sapeva lunga» e di chi gli avrebbe fatto un sacco di domande personali - e sentimentali - una volta rimasti soli.  

 

L'aveva imparato nel corso del tempo a mostrarsi sempre impenetrabile. Questo però non significava che non provasse sentimenti o che non amasse o che non fosse attratto da qualche donna. Di solito non gli interessavano le donne per cui suo fratello Mick avrebbe venduto la sua camicia di Armani più costosa - e Dio solo sapeva quanto fosse attaccato visceralmente ai capi griffati contenuti nel suo guardaroba - pur di combinarci la scopata della sera! A lui interessavano le ragazze semplici: quelle che non avevano grilli per la testa, che pensavano alle cose vere della vita, che avevano ideali di giustizia lealtà e sincerità, che non si facevano comprare dai soldi o dai lustrini del Potere. Le piacevano le ragazze che anche solo dietro ad un paio di jeans ed una maglietta, struccate e senza ghirlande luccicanti appesi alle dita od ai polsi tanto sfarzosi ed appariscenti da farle somigliare ad un abete svedese durante il periodo natalizio, riuscivano ad essere loro stesse e contemporaneamente dolci e sensuali da far girare la testa a qualsiasi uomo loro si ritrovassero dinnanzi.  

 

E questa Miki Natori sembrava avere tutte le carte in regola per aspirare al trono del suo cuore.  

 

Se la immaginò con un vestito lungo nero scollato sul davanti che metteva in luce il suo decoltè che sotto la maglia che portava doveva sicuramente essere a metà tra una terza ed una quarta. La schiena candida e sensuale scoperta ed uno spacco vertiginoso che si poteva intravedere solo ad ogni suo passo felpato ed eccitante in un paio di sandali alla schiava col tacco abbastanza alto ma non volgare. I suoi occhi blu come l'oceano incastonati in un visino dolce ed un po' paffuto. Il neo sulla guancia sinistra appena sotto l'occhio che le dava quel «non so che» di raffinato ed aristocratico che poche donne si potevano permettere.  

 

E poi se la immaginò vestita proprio come era in quel momento, in jeans e maglia colorata, con un bambino in braccio che coccolava ed a cui sorrideva felice. Il loro bambino. Tutte queste emozioni gli crearono un tuffo al cuore che forse, se fosse stato da solo, avrebbe lasciato scivolare via con una piccola lacrimuccia di contentezza. Anche Hayato amava fantasticare, amava pensare al suo futuro con una donna che lo amasse per quello che era, con una donna che conoscesse tutti i suoi lati più nascosti, con una donna che lo capisse anche senza parlare, con una donna un po' esperta anche del suo mestiere con cui potesse andare in missione con la gioia nel cuore e contemporaneamente con l'angoscia che le potesse succedere qualcosa. Ma quando stava con lui, lei non sarebbe mai stata in pericolo: perchè lui l'avrebbe protetta anche a costo della vita.  

 

Così vedeva la famiglia, così vedeva l'amore e così vedeva la sua vita futura.  

 

Forse non avrebbe mai smesso di fare quel mestiere, perchè amava il suo lavoro ed amava fare le sue entrate plateali e megalomani radendo tutto al suolo col suo bazooka. In fondo, nell'Ambiente, era conosciuto anche per questo. Se ne compiacque e pensò al modo che avrebbe dovuto adottare per rivederla - sempre se lei avesse voluto rivederlo, un problema non da poco - senza fare gaffe o risultare ridicolo come un adolescente alla sua prima cotta. Ancora due anni, caro Hayato, e poi raggiungerai il traguardo degli «anta», vediamo di non farci compatire, ok? Si disse proprio mentre Miki ritornava con un vassoio gigante di plastica tutto colorato con del bel caffè fumante ed alcuni biscottini al cioccolato. Falcon sorrise allargando la bocca più che poteva. Kaori pensò per l'arrivo di Miki, invece era per l'arrivo dei Togo. Lui era uno di quelli che avrebbe dato qualsiasi cosa per nuotare in una piscina stracolma di cioccolato fondente.  

 

- Ecco qua, se volete dello zucchero... - Disse loro Miki indicando il contenitore del dolcificante accanto alle tazze di caffè che riempivano il vassoio posto sul tavolino rettangolare di vetro tra il divano a tre posti color salmone tenue su cui era seduta Kaori e le due poltrone davanti. Anche la padrona di casa si sedette e cominciarono a parlare del caso.  

 

Le Lacrime Di Venere sarebbero dovute tornare ai loro legittimi proprietari, cioè le sorelle Natori.  

 

I loro antenati appartenevano ad una delle più antiche famiglie giapponesi di Tokyo, quando ancora l'area che attualmente è occupata dalla città veniva chiamata «Edo», che significa «porta d'entrata». Nel 1457 venne costruito un castello fortificato, ma il villaggio acquistò importanza solo dopo il 1590 quando Tokugawa Ieyasu - il primo degli Shogun (letteralmente «comandante in capo contro i barbari», ma realmente «serie di dittatori militari che governarono il Giappone tra il 1192 ed il 1867») - di quella famiglia, se ne imposessò mettendola - dal 1603 in avanti - in concorrenza con la città imperiale Kyoto. A partire dal 1700, Edo divenne un importante centro commerciale, politico ed artistico assumendosi il primato di città più popolosa del mondo; poi con la caduta del dominio degli Shogun ed il periodo di restaurazione Meiji, nel 1868, la corte imperiale venne trasferita ad Edo e quest'ultima cambiò il nome in Tokyo, che significa «capitale orientale».  

 

Al tempo, la Dinastia dei Natori era conosciuta per essere una delle famiglie più ricche della zona poichè commerciava diamanti e preziosi. Il suo simbolo era costituito da 7 diamanti, appunto Le Lacrime Di Venere.  

 

Secondo la mitologia, Venere era la moglie di Vulcano (dio del fuoco e della lavorazione dei metalli) ma - come tutti sanno - spesso gli fu infedele: tra i suoi amanti si annoverano Marte (dio della guerra), il pastore Adone e l'eroico Anchise con cui diede alla luce Enea, capostipite del popolo romano ed in particolare della Gens Iulia a cui appartenne Giulio Cesare.  

 

Quando Venere seppe di essere rimasta incinta di Anchise, si disperò perchè non osava immaginare cosa Vulcano le avrebbe fatto quando lo fosse venuto a scoprire. Sconsolata, per non farsi vedere da suo marito, pianse tutte le sue lacrime recandosi nei pressi del torrente che sgorgava dal Monte Olimpo e che si trovava accanto alla sua dimora. Le ultime sette lacrime che versò Venere caddero nel torrente e si trasformarono in diamanti che seguirono il corso di quel fiume galleggiando sull'acqua limpida ed essendo quindi visibili a tutti coloro che potevano trovarsi su quel tragitto.  

 

Colei che li ritrovò fu una mortale che era andata al fiume a piangere tutti i suoi peccati per lo stesso motivo di Venere: stava aspettando un figlio dal suo amante e non sapeva come dirlo a suo marito. La donna raccolse quelle pietre, ignorandone la loro provenienza, e se le portò a casa. Fortunatamente le cose per lei si risolsero positivamente e tenne quelle sette pietre come porta-fortuna che decise di dare ai suoi figli e fece promettere loro che le avrebbero date ai loro figli e che i loro figli le avrebbero donate ai rispettivi figli, tramandando così questo dono di generazioni in generazioni.  

 

Nel corso dei secoli, una discendente di questa donna emigrò in Giappone sposandosi un autoctono che - caso volle - appartenesse alla famiglia dei Natori, il quale continuò la tradizione del tramandare le sette pietre che divennero poi l'emblema della stessa dinastia.  

 

Poi nel tempo, quando qualcuno si accorse che queste non erano semplicemente delle pietre insignificanti ma dei veri e propri diamanti, cominciò a pretenderle. Con le guerre e tutte le vicissitudini in seguito accadute, non tutte le sette Lacrime Di Venere rimasero alla famiglia Natori.  

 

Il loro rivolerle indietro non era tanto per una questione di soldi, bensì affettiva.  

 

Il loro padre stava morendo di cancro ed i medici avevano detto a Miki e Kazue che sarebbe sicuramente morto in capo ad un anno. Lui aveva detto loro che - visto che Le Lacrime avevano creato troppi dissidi nella loro famiglia ed in molti erano morti per accaparrarsele e sempre per loro erano nate delle guerre sanguinosissime tra gli stessi membri della Dinastia - quando sarebbe morto, perchè sapeva che sarebbe successo molto presto, avrebbe voluto che tutti i sette diamanti fossero messi nella sua tomba che sarebbe poi stata cremata insieme a lui e le ceneri sarebbero andate disperse poi nell'Oceano così più nessuno avrebbe potuto rivendicarne il possesso.  

 

Della loro Dinastia, una volta che Saitomi se ne fosse andato, sarebbero rimasti solo suo fratello vedovo Kito ed i suoi due figli maschi: Eiji e Retoshi Natori, cugini di primo grado di Miki e Kazue. Coloro che avrebbero fatto carte false pur di avere per sè i diamanti. Secondo le Antiche Leggi della famiglia, il detentore delle Lacrime sarebbe dovuto essere il primogenito dell'ultima generazione ancora vivente, dopo di che, alla sua morte, sarebbero finiti nella mani del secondogenito. Quindi, in quel caso, Le Lacrime Di Venere sarebbero spettate di diritto a Saitomi fino alla sua morte, dopo di che, le avrebbe dovute acquisire Kito. Ma se il primogenito avesse avuto dei figli, i diamanti sarebbero spettati a questi e, se codesti fossero venuti a mancare, poi sarebbero finiti nelle mani del secondogenito. Dopo che Kito aveva scoperto che suo fratello sarebbe morto di cancro, aveva cominciato a fare delle pressioni sulle nipoti. Ed in qualche caso, le ragazze sospettavano che alcuni incidenti - seppur non gravi - a cui erano miracolosamente scampate, non fossero proprio accaduti per un banale scherzo del destino.  

 

Una corsa contro il tempo. Recuperare i diamanti prima della morte del padre. Nessuno sapeva con esattezza quando il Buon Dio avrebbe deciso di riprenderselo con sè - chiaramente le figlie speravano il più tardi possibile - ma da quel momento, se i quattro diamanti fossero rimasti ancora nelle loro mani, sicuramente il loro zio con rispettivi figli non avrebbe avuto nessuno scrupolo ad eliminare le nipoti per riprendersi le quattro Lacrime e magari tentare di recuperare e di trovare quelle che erano andate perdute nel corso del tempo.  

 

Dopo la scoperta del cancro, Saitomi era rimasto a vivere a Tokyo e Miki e Kazue si erano trasferite a Manhattan perchè avevano saputo - dopo anni di ricerche in terra madre - che tre delle sette Lacrime erano finite nelle mani di tre persone diverse residenti tutte in quella zona di New York. Ma Manhattan era il più popolato tra i suoi distretti e sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.  

 

Non speravano di poter riuscire a ritrovare tutti e tre i diamanti mancanti prima che il loro adorato padre chiudesse gli occhi per sempre, però almeno ci avrebbero provato.  

 

Dopo parecchio tempo di ricerche inconcludenti, si erano decise a rivolgersi ad una professionista. Si erano recate nei bassifondi e nei quartieri più malfamati di Manhattan ed avevano chiesto in giro se esisteva qualcuno che avrebbe potuto rubare su commissione. Rubare, perchè dubitavano fortemente che i tre che si erano impossessati dei diamanti, glieli cedessero con così tanta facilità.  

 

Secondo la leggenda venivano chiamate Le Lacrime Di Venere ma in realtà - quando Miki e Kazue si erano recate da un'esperto a farsi valutare i quattro che avevano ancora in loro possesso - avevano scoperto che quelle pietruzze, alla lunga, appartenevano alla varietà del Cullinan, però nessuno era riuscito a dir loro con esattezza quale fosse il loro nome antico nè l'esatta ubicazione del loro luogo d'origine nonostante fossero stati sottoposti a vari studi. Non valevano una fortuna come il vero Cullinan però i loro attuali possessori, di sicuro, non erano dei poveri senzatetto di quei quartieri in cui la Povertà poteva essere incontrata quasi di persona passeggiando per le strade.  

 

E, l'esperto aveva detto loro, che nessuno sano di mente avrebbe mai dichiarato pubblicamente di essere in possesso di un diamante del genere. Qualsiasi bravo intenditore, aveva poi aggiunto, avrebbe capito subito che quelle pietre fossero una variante arcaica del Cullinan e chiunque - aveva sottolineato - se lo sarebbe tenuto ben stretto e sepolto nella propria cassaforte con almeno otto mandate belle massicce.  

 

Quando Kazue aveva chiesto all'esperto cosa fosse questo famoso Cullinan egli le aveva risposto con sdegno - Come se tutti si intendessero di diamanti, cafone borioso e spocchioso, gli aveva sibilato contro la ragazza - che non era altro che il diamante più grande di tutti quelli conosciuti e che dal suo taglio erano state prodotte 105 gemme del peso complessivo di circa 530 carati di cui la più grande, con la tipica forma a goccia denominata Stella D'Africa, si trovava incastonata nello scettro reale d'Inghilterra.  

 

Le due erano rimaste basite, dallo stupore e dalla loro ignoranza in materia.  

 

Hayato aveva ascoltato tutto il racconto di Miki restando in silenzio e fermo nella stessa posizione, a parte la sua bocca che si muoveva sbriciolando e trangugiando un Togo ogni dieci secondi. Kaori non era arrivata ad assaggiarne neanche uno. Maledetto pelato! Gli aveva sibilato più volte a denti stretti mentre Miki raccontava loro la storia dei diamanti della sua famiglia.  

 

All'improvviso, quando la sua mascella si era fermata dall'adempire al suo abituale compito di triturazione-cibo, Hayato esclamò:  

 

- LeRoy non vi sarà di nessun aiuto. - Quella sentenza aveva infranto le piccole esili speranze di Miki di ritrovare i suoi diamanti perduti. E Kaori:  

 

- Ma come?! Ne sei sicuro? - Aveva esclamato lei sbalordita.  

 

- L'individuo che fa al caso tuo si trova ora seduto al tavolo 7 del famoso Boca Barranca a Tribeca. Irish Pub. Uno di quelli che ti piacciono tanto. - Le rispose suo fratello. Mi piace tanto? L'individuo o il pub? Si chiese Kaori dubbiosa: a volte suo fratello era proprio incomprensibile. Aveva fatto una faccia maliziosa quando aveva pronunciato l'ultima frase.  

 

Che tipo di individuo era quello che avrebbe dovuto incontrare?  

 

Ma lui non le diede il tempo di chiederglielo che chiese a Miki il permesso di recarsi in terrazza a fumare uno dei suoi dannati sigari. Sapeva che Kaori non l'avrebbe seguito. Odiava l'odore di quei cosi, ed odiava anche Cuba.  

 

Non prima di due settimane addietro, l'Havana Club l'aveva ribaltata così tanto da farla finire in "mezza-pensione" di soggiorno alla toilette per otto ore consecutive: testa nel wc a contare i batteri annidati nei suoi angoli più oscuri ed un terribile maldipancia con diarrea in allegato. L'ultima storiella che aveva avuto - durata non più di tre settimane - era stata con un cubano che si era messo con lei solo per ottenere la Green Card e... qualcos'altro.  

 

Nel frattempo, Ryo Saeba stava aspettando il suo «Mokkori», seduto in uno dei tavoli del privèe di un pub tra la West e la Chambers: Eriko Kitahara, la migliore amica di Kaori Makimura, sarebbe arrivata a momenti. 

 


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