Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated G - Prosa

 

Autore: Paola

Status: Completa

Serie: City Hunter

 

Total: 10 capitoli

Pubblicato: 03-06-05

Ultimo aggiornamento: 02-12-05

 

Commenti: 12 reviews

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General

 

Disclaimer: I personaggi di "Dietro l'ingannevole velo delle apparenze" sono proprietà esclusiva di Tsukasa Hojo.

 

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   Fanfiction :: Dietro l'ingannevole velo delle apparenze

 

Capitolo 1 :: Black out

Pubblicato: 03-06-05 - Ultimo aggiornamento: 03-06-05

Commenti: Ciao a tutti! E' la prima volta che pubblico una fic, non so cosa mi abbia spinto a farlo, forse la pazzia o un momento di esaltazione mentale, boh, chissà! Vi prego di essere indulgenti, molto clementi...quasi dei santi! Bene, non mi resta che augurarvi buona lettura!

 


Capitolo: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10


 

Quando quella notte la corrente elettrica venne a mancare, Kaori si trovava nella sua stanza, sdraiata sul letto, intenta a leggere un giallo che, ad ogni pagina, diventava sempre più interessante.  

“Verso le nove del mattino, il commissario si svegliò, si alzò cautamente per non svegliare Diana, che gli dormiva accanto, e andò a guardare Daniel. Nel divano il bambino non c’era, in bagno neanche. Era scappato, come aveva temuto. Ma come diavolo aveva fatto, se la porta era chiusa a chiave e la serratura ancora bloccata? Allora si mise a guardare in tutti i posti in cui avrebbe potuto nascondersi. Niente, svanito. Doveva svegliare Diana e dirle che…”  

Kaori non poté terminare la lettura della frase.  

All’improvviso, la lampada non emise più luce e la stanza piombò in un buio pesto.  

Si stupì, si lamentò, sacramentò, ma non per questo la luce ritornò, così decise di alzarsi e, procedendo a tentoni, con le mani protese in avanti, tastando ogni cosa le capitasse a tiro, cercò di orientarsi verso la porta.  

Arrivò nel corridoio avanzando come un cieco, riuscì per un soffio a evitare di cozzare contro lo spigolo di una scarpiera e a giungere in cucina. Frugò nei cassetti e trovò una torcia a pile, l’accese.  

Raggiunse tranquillamente la sala da pranzo, uscì in balcone.  

Erano numerose le persone affacciate alle finestre dei palazzi, che circondavano quello in cui abitava insieme a Ryo, uno sweeper di fama internazionale, di cui, lei, era l’assistente.  

Anche fuori si era circondati dalle tenebre.  

Osservando l’orizzonte, Kaori poté constatare che, esclusa la parte del quartiere di Shinjuku colpita dal black out, la città notturna continuava a sfavillare in lontananza.  

All’incessante canto delle cicale si unì il brusio e il parlottio dei vicini. Un insieme di vari tipi di voci: femminili, maschili, cristalline, nasali, adirate, annoiate, lamentose, si mescolarono insieme creando un coro fastidioso e stridulo.  

Molte di loro informavano di aver telefonato alla compagnia elettrica: avevano risposto che stavano lavorando alle centraline e che tra circa un paio d’ore avrebbero ripristinato la tensione.  

Era estate, un caldissimo agosto, l’umidità era alle stelle, l’aria bloccata e con climatizzatori e ventilatori fuori uso, pareva impossibile pensare di rimettersi a letto.  

Ben presto la gente, stufa di mormorare con i vicini, preferì rientrare in casa, sperando che il caldo li risparmiasse un po’, almeno per quella notte, permettendogli di dormire.  

Il bisbiglio cessò e tutto piombò in un totale silenzio rotto dal rombo di qualche motore o dal fischiare di qualche ruota.  

Kaori rimase affacciata qualche altro minuto, poi, anche lei, abbandonata la speranza di poter leggere gli ultimi capitoli del giallo, decise di provare a chiudere occhio.  

Con la torcia accesa fra le mani, si avviò in cucina. Aveva bisogno di bere, sentiva caldo e aveva la bocca in fiamme.  

Aprì il frigo, prese una bottiglia d’acqua quasi vuota e ne versò il contenuto freddo nel bicchiere.  

Pensò che da qualche parte ci dovevano essere delle candele. Avrebbe potuto cercarle, accenderle e facendosi luce con quelle aspettare il ritorno di Ryo.  

Lo sweeper, infatti, non era in casa, e chissà quando sarebbe rincasato. Di sicuro gli era indifferente il fatto che quasi tutta la zona in cui era collocato il loro appartamento fosse al buio.  

“Sicuramente”, pensò Kaori, “quel porco è in qualche postaccio a divertirsi, a ubriacarsi, a far baldoria… Perché cavolo dovrei preoccuparmi per lui?”.  

Decise di ritornare in camera sua.  

Nonostante la temperatura sfiorasse i 40° C, Kaori si addormentò poco dopo aver appoggiato la testa sul morbido cuscino.  

Aveva lasciato la porta della camera spalancata, in modo da poter sentire l’arrivo del socio e accoglierlo come meritava, con martelli e konpetito.  

Non erano ancora le due di notte quando un rumore sordo, proveniente dal piano inferiore, la svegliò di colpo. Allungò una mano verso la lampada che teneva sopra il comodino, ma al click tutto rimase avvolto dal buio più totale: la luce non era ancora tornata.  

Impugnò la torcia e scese al piano inferiore certa di trovarvi Ryo.  

Cercò, illuminando la stanza, di scorgervi la sagoma del ragazzo, ma non sembrava esserci anima viva in quella casa, a parte lei.  

“Ryo!”, chiamò a voce alta. “ Sei tu?” domandò.  

Silenzio, nessuno rispose.  

Lei, ne era più che certa, quel rumore lo aveva sentito, qualcuno doveva per forza esserci. Si convinse che Ryo stesse approfittando della mancanza di luce per sgattaiolare inosservato nella sua camera e evitare di incontrarla o, magari, per comparire all’improvviso e farle prendere uno spavento.  

“Avanti, non fare il cretino, esci fuori” intimò Kaori. “E’ inutile che tu rimanga nascosto, ti ho sentito entrare. Forza, esci”.  

Anche questa volta nessuno aprì bocca.  

Con la luce della torcia cercò di individuare il collega nella stanza. La spostò velocemente a destra, a sinistra, in alto e in basso. Si soffermò vicino ai divani, al tavolo e a ogni altro mobile che potesse avergli fornito un nascondiglio. Niente.  

“Che abbia solo sognato?” si domandò.  

Era del tutto inutile rimanere lì, probabilmente non c’era davvero nessuno, decise allora di ritornarsene a letto.  

Un silenzio abissale l’ avvolgeva come una pesante cappa, Kaori riusciva persino a sentire i battiti del proprio cuore e anche fuori tutto sembrava essere immobile.  

Si era appena lasciata alle spalle il quarto gradino, quando la luce della torcia s’illanguidì a poco a poco, per poi morirle tra le mani.  

“Maledizione,” si lamentò “ci mancava solo questa”. Diede qualche colpo con il palmo della mano all’apparecchio e questo emise una debole luce per qualche secondo, poi si spense nuovamente, lasciandola al buio.  

“Stupida torcia!”.  

Stava ancora brontolando quando, improvvisamente, si sentì afferrare alle spalle. Una mano inguantata stretta alla bocca le impediva di gridare.  

La lampada elettrica le scivolò sul pavimento e si riaccese.  

Il debole bagliore le permise di intravedere il suo aggressore.  

Portava abiti scuri e, nonostante il caldo, indossava un passamontagna; rimanevano scoperti due occhi cupi e taglienti come lame di ghiaccio. Era lampante il fatto che non volesse farsi riconoscere.  

Era più basso di Ryo di una decina di centimetri, era muscoloso ma allo stesso tempo agile nei movimenti.  

Chi diavolo era quello? Cosa voleva da lei? Era forse un ladro? Se veramente lo era, doveva essere proprio sfortunato: in quell’appartamento non c’era niente da rubare. Gli elettrodomestici non erano dei più nuovi, di gioielli manco l’ombra e i soldi dell’ultimo incarico erano serviti per pagare le bollette, riempire il frigorifero, comprare qualche vestito nuovo….  

Nonostante Kaori cercasse di liberarsi dalla presa, le forti braccia dell’oscuro individuo la tenevano stretta in una micidiale morsa. Si sentiva come una preda presa in trappola e a nulla le valse divincolarsi, neanche quando l’intruso si servì di una delle mani per estrarre qualcosa dalla tasca dei propri pantaloni: una garza imbevuta di anestetico al cloroformio.  

Lo sconosciuto gliela poggiò sul viso, la ragazza sentì un odore pungente attraversarle le narici, penetrarle la gola, espandersi nel petto. Divenne debole, le gambe cedettero, gli occhi pesanti si chiusero e scivolò a terra lentamente perdendo coscienza, tuttavia,  

prima che potesse raggiungere il pavimento, l’uomo la risollevò e, caricandosela sulle spalle, si precipitò fuori dall’appartamento.  

Velocemente salì dentro un furgone nero che, con il motore acceso, lo aspettava nello spiazzo davanti la casa dello sweeper.  

Poi, si eclissò.  

 

 

 

La zona dei motel e dei locali notturni di Shinjuku, che Ryo era solito frequentare, non era stata colpita dal black out e le insegne luminose di pensioni, club, bar e locali notturni illuminavano a giorno le strade. Deliziose ragazze, in costumi ultra sgambati da conigliette, cercavano di accattivarsi le simpatie dei passanti con moine maliziose.  

Lo Stallone di Shinjuku, Ryo Saeba, si aggirava barcollando, mezzo ubriaco, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, proprio per una di quelle strade, ammiccando sorrisi da ebete alle procaci giovani in costume.  

“Ryo, Ryo”, lo chiamò alle spalle un vocione sgraziato.  

Saeba si voltò lentamente ritrovandosi di fronte un donnone alto, corpulento e muscoloso, vestito con un abito succinto e di colore rosso fuoco.  

“Ryuccio, quando passerai un po’ di tempo con me?” domandò piagnucoloso il vocione di Erika, un tran che Ryo conosceva già da anni e che era innamorato cotto di lui.  

“Hic, hic”, singhiozzò Ryo, “stasera niente, eh? Erika, hic, sono troppo ubriaco, hic, stavo giusto ritornando a casa, hic”.  

“Dai Ryuccio”insistette il donnone cercando di convincerlo “e poi, ho saputo che nella zona in cui abiti la corrente manca da ore e non è ancora stata riallacciata. Ti annoieresti a morte a casa, su dai, vieni con me”.  

“Dici sul serio, hic?”.  

“Ma certo, lo sai che non ti mentirei mai!” esclamò con voce mielosa portando le mani sui fianchi e facendo oscillare leggermente il busto.  

“Mi dispiace Erika, hic” si scusò Ryo spalancando la bocca in un enorme sbadiglio “sono a pezzi, credo proprio che andrò a dormire”.  

“E va bene,” si arrese Erika “ma sappi che ti lascio andare solo perché non vorrei che la stanchezza ti rovini quel bel visino”.  

Gli mandò un bacio sulla punta delle dita e si diresse verso l’entrata del locale di cui era proprietaria. Ryo rabbrividì e con andatura oscillante riprese la via di casa.  

Quando lo sweeper giunse nei pressi della sua abitazione, le luci dei lampioni erano accese, il black out era cessato e anche il sole si apprestava a fare capolino tra i palazzi e i grattacieli di Tokyo.  

Non appena Erika lo aveva informato della mancanza di elettricità, nella zona in cui abitava, i suoi pensieri si erano improvvisamente catapultati verso Kaori. Si era domandato cosa stesse facendo a quell’ora del mattino, se fosse sveglia o stesse dormendo, se stesse bene o avesse bisogno di qualche cosa.  

Non voleva ammetterlo neanche a se stesso, ma, ormai, aveva completamente perso la testa per quella ragazza, cercava di frenare i suoi sentimenti per lei, di mascherarli, in qualsiasi modo. Non di rado capitava che, invece, di farle un complimento le sbraitasse contro ogni sorta di critica. Ma per quanto si impegnasse a dissimulare ciò che realmente provava, l’affetto che nutriva nei suoi confronti non svaniva.  

Mise la chiave nella serratura ed aprì la porta, poi tastò il muro in cerca dell’interruttore della luce. Click. La stanza si illuminò. C’era un tale silenzio, la collega stava certamente dormendo.  

Prima di andare nella sua camera, passò di fronte a quella di Kaori, la porta era aperta. Di solito, quando la mattina all’alba ritornava dai locali di Kabukicho o quando nel bel mezzo della notte si svegliava a causa di un incubo (non sempre sognava donnine sexy che gli concedevano mokkori), passando di fronte a quella porta, la trovava chiusa. Infatti, la sua assistente, essendo a conoscenza della sua natura pervertita, preferiva sigillarsi al suo interno, sia che ci fossero le clienti o meno.  

Data l’eccezionalità dell’evento, Ryo non poté resistere dallo sbirciarvi all’interno. Qualche secondo per abituare gli occhi alla penombra, per poi contemplare il sensuale corpo di Kaori addormentato, mollemente abbandonato fra le lenzuola che le cingevano il corpo, lasciando scoperte le gambe abbronzate e snelle, aderendo invece al busto, sottolineandone la vita sottile e i fianchi morbidi.  

Mentre Ryo l’ammirava in silenzio, la socia si agitò nel sonno cambiando posizione e il lenzuolo che l’avvolgeva si scostò, scoprendole il seno.  

Ryo deglutì estasiato.  

“Caspita!” non poté fare a meno di esclamare.  

“Non mi sarei mai immaginato che Kaori potesse dormire nuda! Certo che… nella posizione che ha assunto… il suo seno… già il suo seno, sembra più abbondante” commentò serio. Mentre i suoi più bassi istinti si risvegliavano, senza neanche rendersi conto di quanto stava per fare, prese ad osservarla con occhi da cane in calore e si preparò a balzarle addosso come per divorarla.  

Quando le fu così vicino che gli sarebbe bastato allungare leggermente la mano per sfiorarla, accadde che Kaori aprì gli occhi, trovandosi di fronte il volto libidinoso di Ryo.  

“COSA CAVOLO CI FAI QUI, DISGRAZIATO?” gli urlò contro Kaori con sguardo assassino, brandendo uno dei suoi martelli più pesanti fra le mani e saltando all’istante sopra il letto, pronta a scaraventarsi addosso al depravato.  

C’era però qualcosa che non tornava a Kaori mentre si accingeva a sferrare il suo micidiale attacco: perché Ryo continuava a mantenere in volto un’espressione da maniaco sessuale, quando, invece, avrebbe dovuto assumere l’aspetto di un animale braccato e spaventato a morte?  

La risposta la ebbe non appena, abbassato lo sguardo verso il proprio petto, da cui Ryo non riusciva proprio a scollare gli occhi, con sua enorme vergogna, si accorse che a parte gli slip, non indossava nient’altro: era nuda, la canottiera che pensava di indossare, chissà perché, non c’era e il suo seno era completamente scoperto.  

Un rivolo di sudore le attraversò la tempia, sentì il sangue affluirle velocemente al cervello, le orecchie andarle in fiamme, diventò paonazza.  

Kaori lanciò un urlo agghiacciante e si affrettò a coprirsi con il lenzuolo, nel frattempo Ryo sgattaiolò fuori dalla stanza a velocità record.  

Non provò neanche a inventare qualche scusa assurda o a spiegare che aveva frainteso tutto; in quel momento il suo istinto gli suggerì l’unica via di scampo: la fuga.  

La sua socia era furiosa, se lo avesse preso, altro che martellate e nottate all’aria aperta avvolto in una coperta, lo avrebbe scorticato vivo a forza di konpetito sulla faccia.  

Ed era vero, perché Kaori, rossa per la vergogna, con gli occhi infiammati dalla rabbia, rimasta immobile sopra il letto per qualche istante e poi buttatasi a sedere pensava solo ad una cosa: vendetta!  

Tuttavia era successo tutto così velocemente che non ci aveva capito niente.  

Quando mai Ryo aveva cercato di infilarsi nella sua stanza in mancanza di clienti? Ma soprattutto, possibile che Ryo fosse riuscito a sfilarle la canottiera senza che lei se ne accorgesse?  

Va beh, che era un super esperto di sconcezze, ma da qui a spogliarla senza svegliarla era difficile. Difficile, ma non impossibile….  

Ma ammettendo il caso che non fosse stato Ryo, perché non riusciva a ricordare di essersela tolta?  

Colpa del black out? No, che c’entrava quello? Forse per colpa del caldo, si era spogliata, dimenticandosi però di chiudere a chiave la porta della sua stanza come faceva di solito.  

Ma perché non lo ricordava?  

Va bene che più di una volta Ryo l’aveva rimproverata di soffrire di sonnambulismo…  

Ma come poteva essere che il sogno che aveva fatto prima di essere svegliata in quell’infelice modo, lo aveva ancora chiaro in mente? L’uomo incappucciato che la bloccava e poi tramortiva, se lo ricordava e il resto no? Ricordava di aver bevuto prima di coricarsi, di non aver potuto finire il suo bel giallo…  

E poi? Si era alzata sentendo dei rumori, no quello era l’inizio del suo sogno…  

Impossibile, lei era troppo giovane per soffrire d’Alzheimer mentre Ryo era un depravato capace di tutto, anche a volerlo difendere era impossibile: a scassinare porte era abilissimo e, per un maniaco come lui, non doveva essere stato difficile neanche imparare a denudare le povere ragazze dormienti e indifese come lei.  

E poi da quando in qua la sua testa si premurava di scagionare quel fannullone del socio da qualche colpa?  

La sua faccia da maniaco sessuale era una chiara prova della sua colpevolezza, in fin dei conti, che importava se la porta fosse chiusa o meno, se lei si fosse tolta la canottiera per il caldo o fosse stato Ryo a sfilargliela? Sempre sul letto se lo era ritrovato e con quell’espressione da allupato dipinta sopra.  

Ebbene si, sentenziò infine il cervello di Kaori, Ryo era colpevole, e come tale andava punito.  

Intanto si erano già fatte le sette.  

 

 


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