Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated R - Prosa

 

Autore/i: Mojca

Traduttore/i: marziachan

Status: In corso

Serie: City Hunter

Original story:

What men want

 

Total: 25 capitoli

Pubblicato: 01-06-07

Ultimo aggiornamento: 03-09-07

 

Commenti: 94 reviews

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DrameGeneral

 

Riassunto: Un piccolo intreccio tra il film con Mel Gibson e la sfida - Kaori può sentire i pensieri di tutti gli uomini.

 

Disclaimer: I personaggi di "What men want" appartengono esclusivamente a Thukasa Hojo. A dire il vero, il dottore di Kaori è un personaggio inventato. E forse ci sarà anche la partecipazione straordinaria di altri come lui.

 

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   Traduzione :: Quello che vogliono gli uomini

 

Capitolo 20 :: L’amore fa schifo!

Pubblicato: 30-08-07 - Ultimo aggiornamento: 30-08-07

 


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Ryo fissava Kaori. Kaori bagnata. Kaori bagnata e nuda, se non fosse stato per quell’asciugamano. Kaori, bagnata e nuda al centro dell’appartamento di Mick.  

 

Kaori si trovava in mezzo all’appartamento di Mick, bagnata, e nuda, se non fosse stato per quell’asciugamano stretto sul petto, la schiena alla porta. La porta, dove si trovava Ryo, che la stava fissando. Oh, come desiderava che lui dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa per alleviare la tensione. Si era inchiodata sul posto, incapace di girarsi, incapace di muovere un muscolo... incapace di respirare. Perché non diceva qualcosa? Perché non PENSAVA qualcosa? C’era il silenzio assoluto dietro di lei, e questo le faceva venir voglia di urlare.  

 

Se lui credeva che tra lei e Mick fosse successo quello che lei pensava lui credesse fosse successo, avrebbe dovuto pensare a qualcosa. Ma lei non riusciva a percepire niente neppure una battuta su Mick che era caduto così in basso da dormire con un travestito. Non c’era niente. Doveva sforzarsi persino per sentire il suo respiro.  

 

Ryo era immobile come una statua, i pugni e la mascella erano stretti così forte da essere sicuro che si sarebbero rotti da un momento all’altro. Era fermo immobile, perché se si fosse mosso avrebbe sicuramente fatto a pezzi la stanza. E poi avrebbe cercato Mick e rotto ogni singolo osso del suo corpo. E poi...  

 

Fissava la sua schiena, desideroso che lei si girasse e lo fronteggiasse, ma le era anche grato che non lo facesse. Non sapeva come sarebbe stato capace di guardarla in faccia, negli occhi. Non dopo questo. Mai dopo questo.  

 

Il suo corpo era teso, stava male. Ma la cosa che soffriva di più era il suo cuore. Stava male nel profondo dell’anima e non c’era una dannata cosa che potesse fare a questo proposito. Anche se si fosse infilato una pallottola nel cranio, avrebbe probabilmente sofferto ancora. L’amore faceva schifo!  

 

C’era un tale vuoto dietro di lei, Kaori sentiva come se non ci fosse stato nessuno lì, ma sapeva che lui era fermo dietro di lei. Fermo immobile. Gli occhi puntati su di lei. Come poteva qualcuno apparire come se non ci fosse? Sentiva come un buco lì dietro. Il nulla, l’immobilità. Non faceva trasparire niente. Come riusciva a farlo? In un momento simile? Questa non era la prova sufficiente che tutto quello che Mick le aveva detto durante la notte non era assolutamente vero? Quel silenzio assoluto non era la prova sufficiente che Ryo non provava per lei niente di più che un semplice affetto? Questa non era la prova sufficiente che lui non l’amava? Perché sicuramente un uomo innamorato si sarebbe infuriato ad una simile prova d’infedeltà da parte della sua donna.  

 

Prendendo un respiro profondo, finalmente, e lentamente si girò.  

 

Il suo cuore smise di battere mentre lo guardava. I suoi occhi erano cupi ed illeggibili. Due pozze confuse, scure, e impenetrabili riflettevano le immagini attorno a lui. Non riusciva a vedere niente nei suoi occhi. Niente di quello che sentiva, di quello che pensava riusciva a trasparire. Era l’immagine della calma e dell’immobilità. Sembrava una statua.  

 

»Per favore, di qualcosa.« bisbigliò incerta.  

 

Rabbrividì. Lui, il grande City Hunter, l’impenetrabile Ryo Saeba aveva rabbrividito a qual bisbiglio. Quella piccola, fragile ragazza l’aveva fatto rabbrividire con solo qualche parola.  

 

Vedendo il suo viso oscurarsi, Kaori iniziò a tremare. Perchè diavolo non riusciva a sentire i suoi pensieri?! E pensare che solo alcuni minuti fa stava cercando di pensare ad un modo per non sentirli. Ma quando voleva disperatamente sapere cosa lui stesse pensando, non ci riusciva. Il vuoto attorno a lui diventava più grande e più profondo, portandolo sempre più lontano da lei.  

 

»Ryo...« C’era un appello disperato nella sua voce.  

 

Un angolo della sua bocca si curvò in un piccolo sorriso cinico.  

 

Deglutì. Questo non prometteva bene. Non aveva mai visto un’espressione simile sul suo viso. Le faceva stringere lo stomaco dall’apprensione.  

 

»Bene,« pronuncio lentamente. »Mick dovrebbe avere una medaglia.«  

 

Lei risucchiò un debole respiro.  

 

»Non sapevo che fosse tanto disperato per qualche scopata.«  

 

Kaori sbatte le palpebre, le lacrime le pungevano agli angoli degli occhi. C’era una tale cattiveria nella sua voce.  

 

»E tu. Oh, signorina Makimura. Con tutto quel contegno formale e quelle prediche sulla castità, il rimanere vergine fino alla notte di nozze e tutte quelle stronzate.« Ryo raddrizzò la testa, ogni parola gli bruciava sulla lingua. »Tanto santarellina, chi avrebbe pensato che tu fossi una donna così facile.«  

 

Una sola, silenziosa lacrima colò lungo la sua guancia.  

 

Ryo fissava quella lacrima, sorpreso di non sentire neppure un piccolissimo rimorso per quelle parole che le aveva appena sputato in faccia.  

 

Come poteva un uomo dire una cosa simile all’unica donna di cui si era mai innamorato? Come poteva un uomo dire una cosa simile alla donna che gli aveva ridato di nuovo la vita? Alla donna che gli aveva mostrato cosa significassero l’amore e l’amicizia? Come poteva un uomo dire una cosa simile alla donna che era la sua unica famiglia?  

 

Come erano finiti così? Com’era tutto peggiorato in una situazione del genere?  

 

Cosa aveva fatto? Perché era andata da Mick? Perché non aveva aspettato a casa e provato a calmarsi? Perché non riusciva mai a pensare alle cose da cima a fondo? Perché doveva sempre finire nei casini?  

 

Perché si era svegliata la scorsa notte? Perché non poteva solo continuare a sognare con Ryo? Perché doveva leggere nella mente? Perché aveva sbattuto la testa l’altro giorno?  

 

Ma prima di tutto, perché si era svegliata dal coma?!  

 

Com’erano finiti in questo modo? COME?! PERCHÉ?!  

 

Ryo aveva la nausea. Perché non reagiva? Lei, che aveva sempre la risposta pronta a portata di mano, era lì in piedi in silenzio, a fissarlo. Perché non gli scagliava addosso un martellone? Perché stava solo lì, senza dire una parola, senza difendersi, lasciandolo insultarla nel modo in cui aveva fatto? Perché non aveva niente con cui giustificarsi? Perché tutto quello che aveva detto era vero?  

 

Andiamo, Kaori, di qualcosa. Non puoi lasciarmela passare liscia dopo una cosa così.  

 

»Che cosa vuoi che dica?« bisbigliò, le lacrime le colavano ancora giù per le guance. »È chiaro cosa pensi di me, quindi perché prendersela?«  

 

Sembrava come se la vita l’avesse abbandonata. E lui ne era felice! Aveva dormito con il suo amico, l’aveva tradito, aveva calpestato tutto quello che provava per lei. L’aveva tradito! Aveva tutto il diritto di chiamarla...  

 

I suoi occhi si spalancarono ancora di più mentre iniziava a tremare come una foglia.  

 

»Kaori, sono tornato e non crederai mai a chi ho incontrato al...« Mick si fermò di botto sull’uscio. »Merda!«  

 

Umibozu diede un’occhiata alla scena al centro del salotto ed emise un gemito soffocato. Quella non era per niente buona. Mick gli aveva raccontato della visita di Kaori della scorsa notte, benché avesse fatto fatica a credere a come Kaori, ragazza intelligente qual’era, credesse che i suoi sogni potessero avere qualche particolare qualità premonitrice. Ma il fatto era che lei era corsa da Mick nel mezzo della notte e Ryo aveva trovata proprio lì al mattino, pure in un modo leggermente agitato. Ed a giudicare dall’aspetto del viso di lei e dalla postura rigida del suo vecchio nemico, Saeba aveva lasciato libero sfogo alla sua lingua. Dio solo sa cosa le avesse sputato in faccia per farla sembrare sul punto di crollare.  

 

Stupida mezza sega  

 

Kaori stava solo lì in piedi come straziata.  

 

Mick fece con calma un passo avanti. Sapeva come la scena fosse sembrata a Ryo, con Kaori nel suo appartamento ed ovviamente appena uscita dalla doccia, ma sapeva anche di dovergli spiegare. Dio solo sa cosa Ryo le avesse detto. Fanculo lui e la sua poca calma!  

 

»Ascolta amico...« iniziò.  

 

Ryo ruotò, i suoi occhi scuri bruciavano. »Oh, guarda chi c’è qui.« Si girò di nuovo verso di Kaori. »Il tuo amante!« sputò.  

 

Mick serrò i pugni. »Ryo...«  

 

»Congratulazioni Mick. Hai avuto quel che volevi fin dall’inizio, non è così?« Il sorriso di Ryo era cinico. »Hai avuto quello che quasi ogni ragazzo di Shinjuku sogna.« Il suo tono era gelido. » Sei entrato nei pantaloni di Kaori Makimura. Probabilmente erigeranno una statua in tuo onore.«  

 

Dietro di lui, Kaori iniziò a singhiozzare senza far rumore.  

 

Mick guardò con ira il suo migliore amico. »Non è come sembra.«  

 

Ryo alzò le mani. »Per favore, amico. Non devi cercare delle scuse, solo perché lei è stata un’amante così schifosa che dovevi andartene prima che le lenzuola si fossero asciugate.«  

 

Kaori deglutì.  

 

Ryo rise. »Non dirmelo. Ti sei portato dietro Umi-chan nel caso lei facesse la difficile?« Stava ancora ridendo, mentre attraversava la porta. »Avresti dovuto lasciare un po’ di soldi sul comodino. Funziona sempre.«  

 

»Figlio di PUTTANA!« Mick si girò sui talloni, correndo furioso fuori dal appartamento.  

 

Gli occhiali di Umibozu si appannarono. Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? Che cosa si diceva ad una donna che era appena stata chiamata puttana?  

 

Kaori sussultò.  

 

Schiarendosi la gola, alzò il pacchetto che teneva sotto il braccio. »Kaori...«  

 

Sembrava non averlo sentito. Sembrava non vederlo.  

 

»Ho portato questo con me nel caso mi fossi imbattuto in te... In pigiama. «. Si schiarì la gola di nuovo. »Sono di Miki, quindi dovrebbero andare bene.«  

 

Stava ancora solo lì in piedi.  

 

»Stai bene?« chiese sottovoce.  

 

Lei fissava il nulla, le lacrime che le colavano giù sulle guance.  

 

Con un sospiro, lentamente lasciò cadere il pacchetto sopra il pavimento. Con un ultimo sguardo, chiuse la porta, il cuore pesante.  

 

 

 

 


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